Dal sushi alle cozze, ecco i falsi miti
sul pesce crudo da sfatare

Dal sushi alle cozze, ecco i falsi miti sul pesce crudo da sfatare
Dal sushi alle cozze, ecco i falsi miti sul pesce crudo da sfatare
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Giovedì 20 Aprile 2017, 14:30 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 16:47
Solo pesce fresco per il sushi, salmone ideale per le diete, cozze inquinate. Sono alcuni dei falsi miti che ruotano attorno al pesce e che Slow Food, con l'aiuto di ricercatori e dietisti, aiuta a sfatare facendo un pò di chiarezza, in vista di Slow Fish 2017 (18-21 maggio, Porto Antico di Genova). Partiamo proprio dal pesce crudo: sushi, sashimi, tartare e carpacci non devono conoscere congelatore? Falso. Se consumato al ristorante, il pesce deve essere abbattuto come prevede la legge, cioè surgelato in un abbattitore che lo porta velocemente a una temperatura di -18 gradi. Se preparato a casa, va conservato per almeno 96 ore in un congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle. Altrimenti, il rischio è di ingerire il famigerato anisakis, un parassita particolarmente persistente che nell'uomo provoca infiammazioni allo stomaco e all'intestino e reazioni allergiche in alcuni casi anche gravi. Il salmone re di tutte le diete (anche ipocaloriche)? Non proprio: 100 gr di salmone fresco contano circa 180 calorie, le alici 96, i calamari 70 e le cozze addirittura meno di 60. Ma secondo Slow Food c'è molto altro da sapere sul celebre salmone: se è rosa, come quelli selvaggi, è perché nei mangimi è presente una sostanza colorante. Quelli di allevamento sono nutriti non solo con altri pesci (per 1 kg di salmone allevato si uccidono 5 kg di pesci pescati), ma anche con farine derivanti dagli scarti di macellazione. 

Il pesce 'bisteccà (come spada e tonno) è più caro, quindi è di maggior qualità? In realtà è solo più comodo perché non ha spine e si cucina come se fosse una fetta di carne. In più, la pesca intensiva di spada e tonno, quello rosso in particolare, ha messo a dura prova gli stock ittici, non lasciando ai giovanili la possibilità di crescere e diffondersi al di sopra della soglia di rischio. Falso mito anche quello che ci porta a preferire il pesce fresco nella convinzione che sicuramente locale: in Italia ogni giorno viene sbarcato pesce fresco proveniente da 40 Paesi, e molti di questi si affacciano sul Pacifico o sull'Atlantico. L'unica certezza, quindi, è l'etichetta che deve contenere obbligatoriamente: denominazione commerciale della specie; metodo di produzione («pescato», «pescato in acque dolci», «allevato»); zona di cattura; stato fisico (decongelato, scongelato); presenza di additivi. Altro punto da chiarire: anche il pesce ha le sue stagioni, proprio come frutta e verdura, se si rispettano i tempi di riproduzione (e quindi il fermo pesca) e se si sceglie di acquistare specie provenienti dai mari più vicini: le zone di cattura Fao dell'Atlantico nord-orientale (Area 27) e del Mediterraneo - Mar Nero (Area 37). Per queste, tra l'altro, in etichetta può essere specificata anche la sottozona (ad esempio, «Prodotto pescato al largo di Sestri Levante»). Per quest'estate, quindi, via libera ad alici, gallinelle, lampughe, orate, ricciole, saraghi, sardine, spigole. 

Paura di vongole e cozze, perché ritenute inquinate? Per Slow Food sono invece le specie allevate da privilegiate per gusto, facilità di preparazione e proprietà nutrizionali. Inoltre, la mitilicoltura è la forma di allevamento più sostenibile. Largo quindi a cozze, vongole e ostriche, che si nutrono dei microrganismi presenti nell'acqua, filtrandola, e non necessitano di mangimi. È però necessario che l'ambiente di allevamento sia sicuro per evitare che sostanze o batteri nocivi alla nostra salute siano filtrati e si accumulino poi nel loro organismo. Gli allevamenti di qualità privilegiano basse densità e favoriscono adeguati ricambi delle acque. Come tutti i molluschi, devono essere vendute in reti sigillate, recanti un'etichetta che ne indichi varietà, scadenza e provenienza. Mangiare più pesce fa bene alla salute per il contenuto di omega-3 e per le carni pregiate. Vero, ma gli stock ittici che consumiamo abitualmente sono ormai al collasso. Dovremmo imparare a valorizzare le fonti alternative di omega-3 (come i semi), i pesci stagionali e a ciclo vitale breve, poco conosciuti e meno costosi, per i quali il prezzo non corrisponde di certo al valore nutrizionale. E poi ci sono i «non pesci», le alternative che il mare ci offre per esaltare il piacere e mantenerci in salute, senza intaccare gli ecosistemi acquatici: meduse e alghe, molluschi e crostacei. 

 
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