Macerata, processo Pamela
Oseghale in aula: «Non l'ho uccisa io»

Macerata, processo Pamela Oseghale in aula: «Non l'ho uccisa io»
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Domenica 7 Aprile 2019, 10:32
MACERATA «Non l’ho uccisa. Lei è morta a casa mia ma non l’ho uccisa, ci tengo a dirlo ai familiari». Ma la mamma di Pamela era già fuori dall’aula. Lo zio: «Alla rappresentazione teatrale abbiamo già assistito all’udienza preliminare, il biglietto lo si paga per uno spettacolo non per due».
Al termine di un’udienza lunghissima, dopo circa nove ore di testimonianze, Innocent Oseghale si è seduto sul banco dei testimoni e ha raccontato la sua verità. Lo ha fatto parlando in inglese con l’ausilio di un’interprete e rivolgendosi a un’aula che si era riaperta al pubblico proprio in quel momento.
«Ho già detto cosa è successo sulla morte di Pamela e ho anche parlato ai suoi familiari – ha esordito –. Era il 30 gennaio 2018 e un mio amico Jarra mi ha chiesto di andare ai Giardini per comprare marijuana». Mentre aspettava si era avvicinata Pamela che gli aveva chiesto un accendino. «Mi ha implorato di darle eroina e mi offrì una prestazione sessuale in cambio di aiuto per trovare la droga». Dopo il rapporto consumato al Fontescodella l’incontro con Desmond Lucky e l’acquisto dell’eroina a 30 euro. «Le ho detto ok, ho fatto il mio dovere, posso andare, ma la ragazza mi ha chiesto di venire con me», così in due sono andati in via Spalato. Pamela ha assunto l’eroina dicendo che voleva rilassarsi e si è distesa sul letto. È a quel punto che Oseghale avrebbe sentito un tonfo. «Era a terra, le fuoriusciva qualcosa dalla bocca, l’ho presa in braccio e l’ho poggiata sul letto». Pamela si sarebbe ripresa, «respirava, si muoveva, sembrava stare meglio e ho deciso di uscire per vendere la marijuana. Una volta rientrato non si muoveva più, era gelida. Io mi ero attardato nella consegna di marijuana e nel frattempo era successo qualcosa che non potevo prevedere». Oseghale ha chiamato un amico, Anthony, che lo avrebbe invitato a raccontargli tutto di persona. «Ero in un mare di guai» avrebbe detto e una volta tornato a casa dopo l’incontro, «ho iniziato a spaventarmi, ero in stato confusionale. Sono andato in un negozio cinese per comprare una valigia per metterci la ragazza, ma non ci entrava. Nel frattempo la mia compagna mi chiamava di continuo e mi sono agitato». «Visto che il corpo non entrava nella valigia ho tentato di farlo a pezzi. Sono andato in cucina per vedere se trovavo qualcosa per farlo. Non avevo un’auto e l’unico modo per portare il corpo fuori era depezzarlo. Mentre tagliavo il cadavere iniziava a emanare un cattivo odore. Ho chiamato un taxista, nel frattempo ho lavato il pavimento con del sapone perché era sporco di sangue. Poi il corpo l’ho messo in due valigie e da queste usciva sangue». Dopo aver lasciato le valigie a Casette Verdini era tornato a casa mentre la compagna continuava a chiamarlo ripetutamente. Una volta a casa «ho messo in lavatrice le lenzuola dove Pamela si era appoggiata e li ho stesi nel corridoio». Alla fine Oseghale rivolgendosi ai familiari, ma in aula c’era solo il padre, ha ribadito: «Non l’ho uccisa. Voglio pagare per il crimine che ho commesso ma non per quello che non ho fatto».
«Rientra nel suo diritto, ma erano tutte cose già dette. È stata una commedia», ha commentato fuori dall’aula l’avvocato Marco Valerio Verni, zio di Pamela. «Nessuno va due volte al cinema a vedere lo stesso film, a meno che non sia piaciuto. Questo è un film demoniaco, tragico, penso non sia interesse di nessuno vederlo due volte. Credo che una persona che si reputi veramente innocente si debba lasciare interrogare, invece lui non l’ha fatto e l’altra volta Desmond Lucky e Lucky Awelima si sono chiusi in “Non ricordo”. C’è sempre l’avvocato di Desmond in aula, è un indizio di quello che abbiamo sempre pensato, che Desmond c’entri in qualche modo. Per carità l’udienza è pubblica, però».


 
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