MACERATA «Spero che per Oseghale ci sia l’ergastolo, altrimenti ci uccideranno una seconda volta». È straziata dal dolore ma combattiva Alessandra Verni, come lo è sempre stata dopo la tragica morte di sua figlia. Ieri mattina, fuori dal palazzo di giustizia di Perugia dove è iniziato il processo bis davanti alla Corte di Assise di Appello per Innocent Oseghale, relativo solo alla violenza sessuale, la donna si è presentata con una maglietta choc: sul petto le foto di Pamela fatta a pezzi. «L’ho fatto perché è come se ancora non avessero capito quello che è successo a mia figlia, invece è giusto che tutti lo sappiano».
Non sono mancati momenti di tensione all’arrivo di Innocent Oseghale, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Pamela. Per lui, qualora non venisse confermata la violenza sessuale, ci potrebbe essere uno sconto di pena: trent’anni di carcere invece dell’ergastolo. Ma il nigeriano, mentre veniva accompagnato dalla polizia penitenziaria, ha parlato di «errore giudiziario» mentre Alessandra Verni cercava di capire cosa volesse dirle. «Ero molto agitata anche io - racconta - non ho capito cosa stesse dicendo. Rideva, non so come mai sia così tranquillo. Mi piacerebbe che qualcuno che conosce le usanze del suo Paese mi spiegasse anche cosa volesse dire in aula facendo un gesto strano, come a chiedere il time out ma con le braccia».
«Gli ho raccontato tutto e gli ho detto tutte le cose che, secondo noi, non sono andate bene in questi cinque anni. Ci sono alcune indagini non fatte, altre fatte male. Sosteniamo che ci siano pure delle prove sulla presenza di altre persone, oltre a Oseghale, in quella casa». La mamma, a novembre, era stata ricevuta anche al Quirinale dal consigliere del presidente della Repubblica. Oltre che a Mattarella, aveva scritto al ministro Carlo Nordio e al premier Giorgia Meloni.
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