Macerata, ostetrica rifiuta di vaccinarsi
l'azienda sanitaria la licenzia in tronco

L'ospedale di Macerata
L'ospedale di Macerata
di Luca Patrassi
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Giovedì 15 Novembre 2018, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 21:07
MACERATA - Licenziamento per giusta causa e senza preavviso per una ostetrica dell’ospedale di Macerata che, assegnata a un reparto a rischio, non si è adeguata all’ordine di servizio che prescriveva la vaccinazione. L’altro giorno il direttore generale dell’area vasta 3 dell’Asur Alessandro Maccioni ha firmato la determina che dispone l’interruzione del rapporto di lavoro adducendo come motivazione proprio il rifiuto di vaccinarsi nonostante sia una condizione richiesta per lo svolgimento del lavoro. L’ostetrica ha risposto picche all’invito alla vaccinazione e l’azienda sanitaria ha deciso per la risoluzione del contratto a tempo indeterminato. 

Peraltro dovrebbe trattarsi della prima applicazione in Italia della norma che dispone il licenziamento per il mancato adempimento alle prescrizioni alla base del rapporto di lavoro e tra queste le vaccinazioni per chi opera in reparti ospedalieri a maggior rischio di altri. L’ostetrica, evidentemente contraria alle vaccinazioni, non ha risposto positivamente alla richiesta fatta dall’Asur, una volta venuta a conoscenza della mancanza in questione. Sollecitazioni formali ed informali alle quali l’ostetrica No Vax ha appunto opposto un rifiuto alla base del provvedimento di licenziamento. Vaccini obbligatori nella fascia d’età 0-16 anni, ma anche per i lavoratori della Sanità: l’offerta attiva vaccinale era stata decisa a ottobre dello scorso anno dopo una lunga riflessione portata avanti con i responsabili della sicureza di tutte le Aree vaste e le organizzazioni sindacali .

Gli obiettivi 
La Asur era partita dai codici deontologici di medici e infermieri, dal decreto legge 81/2008 (quello che regola la sicurezza sui posti di lavoro), dalla legge 24/2017 (la sicurezza delle cure in sanità) e dalla Carta di Pisa delle vaccinazioni per operatori sanitari per approdare a un punto di arrivo in materia di prevenzione delle infezioni legate all’assistenza: immunizzare gli operatori è in alcune realtà una pratica necessaria al pari di altri fattori per ridurre i rischi. Come ad esempio l’igiene delle mani, l’utilizzo di misure di barriera, pulizie e disinfezione degli ambienti, la sterilizzazione degli strumenti e l’utilizzo appropriato di antibiotici. Secondo lo studio svolto lo scorso anno a priori dalla Asur Marche, le situazioni più esposte a rischio di contagio da agenti biologici sono quelli di triage, pronto soccorso e attività di 118, sale operatorie, sale parto, reparti di dialisi, unità operative di diagnosi e di cura, prelievi ematici o sede di particolari esami endoscopici. Per questo la Asur considerava, e considera, inaccettabili livelli di rischio nei reparti di Oncologia, Hospice, Ematologia, Neonatologia, Ostetricia, Pediatria, Rianimazione e Terapia intensiva, Medicina d’accettazione e d’urgenza, cure domiciliari. E proprio a Ostetricia apparteva l’infermiera licenziata qualche giorno fa a Macerata.

Le decisioni 
Due i livelli di protezione pensati: per i dipendenti non immuni, oltre ai dispositivi di protezione individuale (mascherina, guanti, camici ecc.) sono a disposizione anche i vaccini anti morbillo, parotite, rosolia e varicella e in caso di rifiuto scatta il giudizio di inidoneità alla mansione nelle aree più delicate. Il secondo livello di immunizzazione contempla i vaccini anti-epatite B, anti influenzale e anti pertosse. In questo caso però si trattava di vaccinazioni raccomandate. 
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