La mamma di Pamela: «Ammazzano e fanno a pezzi e lo Stato italiano non fa nulla: delusa e amareggiata»

Alessandra Verni
Alessandra Verni
di Giulia Sancricca
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Giovedì 24 Febbraio 2022, 06:30

MACERATA - Si dice delusa e amareggiata la mamma di Pamela Mastropietro, Alessandra Verni. «Mi aspettavo la conferma della massima pena per un crimine così efferato - dice - invece mi sono sentita dire che per la violenza sessuale dovremo andare a processo a Perugia».

Urla di disperazione, quelle della donna, ieri fuori dalla Cassazione, dopo la decisione della Suprema Corte di disporre un nuovo processo nei confronti di Innocent Oseghale. L’obiettivo è quello giudicare sull’aggravante della violenza sessuale ma, qualora questa non venisse confermata, per il pusher nigeriano la pena potrebbe scendere. 
Alessandra Verni non risponde alla domanda se ha ancora fiducia nella giustizia. «Sono delusa e amareggiata - confida - . Aspetteremo le motivazioni della sentenza e poi ci muoveremo di conseguenza. Sono quattro anni che aspettiamo giustizia». I familiari della ragazza speravano ieri di poter mettere la parola fine a una agonia che va avanti dal gennaio 2018, invece non è stato così.

«Non capisco quali altre azioni avrebbe dovuto fare Oseghale sul corpo di mia figlia per scontare il massimo della pena».

Quella che chiede Alessandra Verni non è vendetta, ma giustizia. «Pamela è stata uccisa - ricorda - il suo corpo è stato scuoiato e fatto a pezzi. È stata usata la candeggina per togliere ogni traccia di violenza. Nonostante questo ci sono state perizie che hanno confermato lo stupro, eppure la Cassazione ha deciso per un nuovo processo. Ci aspettavamo che oggi (ieri, ndr) venisse confermato l’ergastolo. Ammazzano, violentano, fanno a pezzi e lo Stato italiano non fa nulla». 


Le fa eco il fratello, nonché legale della famiglia di Pamela Mastropietro, Marco Valerio Verni. «Oggi confidavamo nella conferma della sentenza di condanna - ammette - . Siamo in parte soddisfatti però, perché sono comunque stati riconosciuti tutti i reati, al di fuori della violenza sessuale. È stato riconosciuto l’omicidio - sottolinea - e questo significa che Pamela non è morta per overdose, come qualcuno si ostinava ancora a ipotizzare. Siamo però amareggiati - prosegue - perché la Corte ha rinviato a Perugia la valutazione della sussistenza della violenza e quindi l’aggravante dell’omicidio che, siamo consapevoli, sia avvenuta».


Un doppio dolore per i familiari della giovane. «È un prolungamento della sofferenza, un supplizio per la mamma - aggiunge Verni - perché vorrà dire ripercorrere ancora determinati momenti. Però vediamo anche il bicchiere mezzo pieno e prendiamo questa occasione come momento utile per poter approfondire ancora di più l’aspetto della violenza sessuale, comprese le responsabilità di tutti». 


Il legale coglie l’occasione per rimarcare la posizione della famiglia rispetto alla fase delle indagini. «Purtroppo ora vengono al pettine i nodi delle indagini di primo grado - dice - che se avessero forse accertato o approfondito meglio alcuni aspetti, ci avrebbero permesso di arrivare in Cassazione più blindati pure sotto il profilo della violenza. Purtroppo secondo noi queste indagini non sono state così complete - conclude - e ora ne paghiamo lo scotto».

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