MACERATA - «Seguirò con ansia e con molta attenzione la Cassazione di Oseghale a gennaio 2022. Spererò nel lavoro della giustizia. Dio illuminerà la via. Probabilmente, quando uscirò, andrò a trovare la povera Pamela al Verano, così come andrò a trovare mia mamma».
A parlare con una lettera dal carcere è Luca Traini, in carcere a Montacuto dal 3 febbraio del 2018 quando a bordo della sua Alfa 147 nera attraversò Macerata sparando e ferendo sei persone di colore. Lo fece per “vendicare” l’omicidio di Pamela Mastropietro compiuto dal nigeriano Innocent Oseghale, una vendetta che gli è costata 12 anni di reclusione (la pena è diventata definitiva a marzo).
Ora, in 13 pagine scritte a mano e inviate all’Adnkronos, si racconta e racconta la metamorfosi da “Lupo” a Luca. «Non sono un mostro. Il Luca di oggi è un uomo che magari fa meno notizia, rispetto al “Lupo”, ma che comunque c’è, esiste, sta facendo il massimo per scontare il debito che ha con la società civile e si impegna nella sua sfida - esordisce -. Sono in carcere ormai da quasi quattro anni. Spiegare cos’è, com’è il carcere a chi non ha mai avuto il “piacere” di esserci passato, non è facile. Ho trovato grande umanità sia da parte degli agenti penitenziari sia da parte dei detenuti. Con il tempo, la serietà e la correttezza con cui sto affrontando la detenzione, mi ha fatto acquisire il rispetto da parte di tutti. Non ho mai negato la gravità del mio gesto e ne ho accettato le conseguenze fin da subito quando fui io a tornare indietro e, andando al monumento dei caduti a Macerata, a consegnarmi ai carabinieri». Poi precisa: «Una certa ideologia che avevo e che ho manifestato in maniera folkloristica, altro non era che un’immagine fittizia che mi ero creato a scudo, come un contrasto con il brutto del mondo. Lo stesso per il fisico: al mio ingresso in carcere pesavo 132 chili di muscoli. Un colosso sviluppato in anni di palestra, per sfuggire al bullismo scolastico subito perché ero grasso. Andavo in palestra a fare i pesi per sfogarmi dalle delusioni in famiglia, al lavoro, della vita. Ora sono molto cambiato. Preferisco un fisico atletico, non per apparire. Qui in carcere faccio un po’ di palestra, un po’ di sport e da autodidatta faccio yoga e meditazione buddista, che ben si abbina alla preghiera cristiana. I miei hobby quotidiani, oltre alla ginnastica, sono leggere, ascoltare musica rock, soul e jazz. Poi scrivo moltissime lettere, leggo libri di ogni genere e svolgo le mansioni di cura della mia stanza. Da più di un anno sono aiuto-magazziniere in carcere. Sono in una sezione con detenuti di tutte le etnie, italiani, pakistani, albanesi, africani, e non ho mai avuto problemi né li ho creati. Non ho mai avuto rapporti disciplinari in quattro anni».
«Una volta sono esploso (riferendosi al 3 febbraio 2018).