«L’ha uccisa con due coltellate, sul cadavere violenza bestiale». Ergastolo ad Oseghale

Ergastolo a Oseghale, le motivazioni dei giudici: «L’ha costretta a un rapporto non protetto e temeva la sua reazione»
Ergastolo a Oseghale, le motivazioni dei giudici: «L’ha costretta a un rapporto non protetto e temeva la sua reazione»
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Sabato 23 Novembre 2019, 03:15 - Ultimo aggiornamento: 09:46

MACERATA - «Una violenza gratuita» su Pamela Mastropietro, dalle due coltellate mortali inferte quando la ragazza di 18 anni era ancora in vita fino all’estremo oltraggio compiuto con un «bestiale scempio» del cadavere. Dalle parole dei giudici della Corte d’Assise di Macerata emerge tutta la crudeltà usata da Innocent Oseghale per uccidere e poi fare a pezzi il corpo della giovane romana il giorno dopo la sua fuga dalla comunità Pars di Corridonia. 

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Nelle 54 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado depositate giovedì e notificate ieri, il presidente della Corte ed estensore del provvedimento, Roberto Evangelisti, ha ripercorso tutti i passaggi che hanno portato all’emissione della condanna nei confronti del nigeriano di 31 anni all’ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno. Passo dopo passo, attraverso l’analisi delle dichiarazioni rese in aula dai medici legali, dai tossicologi e dagli altri consulenti di parte, oltre che delle dichiarazioni rese dagli altri testimoni, il giudice Evangelisti ha spiegato i motivi per i quali la ricostruzione della difesa (avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi) non è riuscita a convincere la Corte, né in merito all’accusa di omicidio né sulla violenza sessuale. Il magistrato ha dovuto farlo rievocando necessariamente passaggi macabri del massacro compiuto sul corpo della 18enne. «Ritiene questa Corte sottolineare, con particolare enfasi, la condotta di Oseghale» che «dopo aver accoltellato la ragazza ancora in vita, provvedeva non soltanto al depezzamento e alla dissezione del corpo, ma attendeva all’accurato lavaggio di tutti i resti con la varechina, cospargendo con l’ipoclorito di sodio anche i genitali e le labbra di Pamela - sottolinea la Corte - attività funzionale ad un inquinamento della prova omicidiaria». Per i giudici Oseghale «senza attendere che Pamela smaltisse completamente gli effetti dell’eroina», che si era iniettata dopo essere salita nell’appartamento del nigeriano in via Spalato 124 a Macerata, «abusava delle condizioni di inferiorità per avere un frettoloso rapporto non protetto cui la ragazza, presumibilmente abbozzando una reazione, non aveva acconsentito con quelle modalità, desideroso solo di appagare il proprio istinto». Sarebbe questo il movente: «per evitare che Pamela, una volta ripresasi completamente lo potesse denunciare, subito dopo il rapporto le infliggeva due coltellate».

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Ma Oseghale nel suo crimine fu aiutato o quantomeno coperto. La Corte, infatti, ha disposto la trasmissione degli atti al pm per favoreggiamento nei confronti del camerunense Moutong Tchomchoue che la notte del 30 gennaio 2018, dopo che Oseghale aveva fatto a pezzi il corpo della giovane, lo accompagnò a disfarsi dei due trolley. È infatti emerso che l’improvvisato tassista subito dopo era tornato sul posto a controllare il contenuto delle due valige ma quando vide una mano di donna tagliata scappò via senza andare dalle forze dell’ordine. Per un altro testimone, il pentito Vincenzo Marino, invece, sono stati trasmessi gli atti per falsa testimonianza, le sue verità «sono prive di fondamento e sembrano frutto di notizie di cronaca». La Corte, poi, in merito alla presunta presenza di una mafia nigeriana a Macerata ha precisato che «nessun riscontro oggettivo emergeva dall’istruttoria dibattimentale in ordine alla affiliazione dell’imputato ad organizzazioni criminali». Una presenza, tra l’altro, non emersa neppure dalle corpose indagini condotte dai carabinieri del comando provinciale guidato dal colonnello Michele Roberti e coordinate dal procuratore capo Giovanni Giorgio. 

«Con le motivazioni della condanna viene riabilitata, se mai ce ne fosse stato bisogno in una sentenza, la figura di Pamela che è stata per troppo tempo da alcuni massacrata facendola passare per quella che non era. La sentenza conferma quello che avevamo sempre detto, dai dubbi sulla comunità alla grave patologia che purtroppo Pamela aveva e che non poteva essere ignorata come purtroppo è stato fatto», ha commentato Alessandra Verni, mamma di Pamela, attraverso il fratello, l’avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia che ha poi aggiunto: «Il passaggio sulla mafia nigeriana è l’unica nota stonata di una sentenza che apprezziamo». «La Corte ha colto i significati più rilevanti per giustificare una condanna esemplare», ha affermato Andrea Marchiori, legale di parte civile del proprietario della casa di via Spalato.

L’omicidio di Pamela scatenò a Macerata un clima di forte tensione culminato qualche giorno dopo con il folle raid razzista di Luca Traini che ferì sei stranieri a colpi di pistola.

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