Macerata, delitto Sarchiè: confermati
ergastolo a Farina e 20 anni al figlio

Macerata, delitto Sarchiè: confermati ergastolo a Farina e 20 anni al figlio
di Benedetta Lombo
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 30 Maggio 2018, 11:10
MACERATA - Omicidio di Pietro Sarchiè. La Cassazione conferma le condanne di secondo grado per gli assassini del commerciante di pesce sambenedettese: ergastolo per Giuseppe Farina e 20 anni per il figlio Salvatore. I giudici della Corte di Cassazione hanno dichiarato inammissibili tutti i ricorsi presentati dalle difese degli imputati e dalla Procura generale e hanno confermato la sentenza della Corte di Assise di Appello di Ancona.
Ieri mattina il procuratore generale aveva chiesto il rigetto dei ricorsi presentati dai legali delle difese e l’accoglimento del ricorso presentato dalla Procura generale. L’avvocato di Giuseppe Farina, Francesco Voltattorni, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di secondo grado, ritenendo il proprio cliente meritevole di una riduzione della pena per l’assenza di premeditazione e la concessione delle attenuanti generiche perché durante le indagini avrebbe collaborato, confessando il delitto e facendo ritrovare il tamburo della pistola utilizzata nell’omicidio.
  
Anche l’avvocato Felice Franchi che difende il figlio di Farina, Salvatore, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di secondo grado, per ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti. Anche per il legale del figlio non ci sarebbe stata premeditazione nell’efferato delitto. Dall’altra parte la Procura Generale che aveva impugnato la sentenza della Corte d’Assise di Appello di Ancona, limitatamente allo sconto di pena riconosciuto al giovane Salvatore che aveva portato a una riduzione della condanna dall’ergastolo inflitta in primo grado a 20 anni in Appello.
Padre e figlio che all’epoca del delitto avevano 40 e 19 anni, sono accusati di omicidio premeditato, porto abusivo di armi, rapina, occultamento, vilipendio, distruzione, soppressione e sottrazione di cadavere, violenza privata e sostituzione di persona. In base a quanto ricostruito dalla Procura di Macerata nel corso delle indagini i Farina avevano organizzato il delitto di Pietro Sarchiè già nelle settimane precedenti, compiendo diversi sopralluoghi a Sellano, Seppio e nei pressi della chiesa di San Gabriele Arcangelo a Sellano, dove avvenne l’agguato. Il 18 giugno 2014 alle 7 del mattino Salvatore avrebbe seguito a bordo di una Y 10 il furgone di Sarchiè tenendosi a stretto contatto telefonico con il padre. All’altezza della chiesa di Sellano il 19enne avrebbe tamponato il furgone di Sarchiè costringendo il commerciante di pesce a fermarsi, a quel punto sarebbe intervenuto il padre Giuseppe che avrebbe esploso sei colpi calibro 38 contro la vittima. Ferito, ma ancora vivo, il commerciante era stato trasportato con il suo furgone alla Valle dei Grilli, una campagna tra San Severino e Castelraimondo. Erano le 8.45. In quel luogo c’erano entrambi i Farina e Sarchiè fu freddato con un colpo alla nuca.
Per nascondere il corpo i due cercarono prima di carbonizzarlo, ma senza riuscirci e poi lo coprirono con materiale di risulta edile e un materasso. Alle 9 entrambi erano in un capannone dell’imprenditore Santo Seminara, anche lui catanese come i Farina, a Castelraimondo, dove iniziarono a smontare il furgone pezzo pezzo. Il corpo di Sarchiè venne ritrovato il 5 luglio, diciassette giorni dopo l’omicidio. Il giorno successivo i carabinieri del Reparto operativo erano nel capannone di Seminara dove trovarono pezzi del furgone del commerciante ucciso e il santino della madre di Sarchiè. Nel frattempo i Farina si trasferirono in provincia di Catania dove rimasero fino a febbraio del 2015. L’ipotesi degli inquirenti, rimasta solo tale, è che nel viaggio verso sud i due abbiano fatto sparire la pistola di cui è stato ritrovato solo il tamburo, insignificante al livello investigativo.
Gli assassini di Sarchiè portarono gli inquirenti sul posto dove era nascosto il tamburo dopo un anno e tre mesi dall’omicidio, mentre il cellulare della vittima non è stato mai trovato. Per la Procura il movente era stato uno solo: la rivalità nella vendita del pesce nelle zone dell’entroterra maceratese. In primo grado, il 13 gennaio 2016, il Gup del Tribunale di Macerata, Chiara Minerva, condannò entrambi alla massima pena, nonostante la Procura avesse chiesto per Salvatore 20 anni, data la sua giovane età al momento del delitto. Circa un anno dopo sono stati i giudici della Corte di Assise di Appello a pronunciarsi sui due imputati che nel frattempo avevano cambiato avvocati: avevano lasciato Mauro Riccioni e Marco Massei per nominare Francesco Voltattorni e Felice Franchi. Il 29 marzo 2017 la decisione dei giudici: ergastolo per Giuseppe Farina e 20 anni per Salvatore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA