MACERATA - «Nessuno ha detto ai medici di medicina generale che avrebbero dovuto prendere il posto delle Usca». A parlare è Tommaso Claudio Corvatta, medico di famiglia ed ormai ex coordinatore dell’Usca, le unità speciali che fino al 30 giugno si occupavano delle cure a domicilio dei pazienti positivi al Covid.
A preoccupare i medici come lui, infatti, è «il ritardo nell’attivazione delle Uca. In questo modo - dice - cessata l’attività delle Usca, sono i medici di medicina generale a ritrovarsi con un carico in più di lavoro. Questo potrebbe anche essere legittimo - ammette - , perché siamo medici e dobbiamo curare le malattie, ma in realtà nessuno ci ha preparato a questo incarico. Avrebbe dovuto esserci un passaggio indolore tra le Usca e le Uca, che però non c’è stato. Hanno chiuso l’Usca, ma l’Uca non è partita e gli effetti iniziano a sentirsi. Sarà un caso - dice - ma il pronto soccorso di Civitanova sembra essere più affannato degli altri giorni ed è facile pensare che la situazione possa peggiorare».
Secondo Corvatta, infatti, l’organizzazione poteva essere attuata in tre diverse soluzioni. «Avrebbero potuto mantenere l’Usca fino a che l’Uca non era pronta - dice - ; oppure rendere immediato il passaggio di testimone; una terza ipotesi poteva essere quella di avvertire i medici di base e renderli preparati a prendersi questo carico».
Due, infatti, sono i farmaci che vengono utilizzati per la cura del Covid. «Uno necessita di una modalità diversa da quella usuale - spiega - , l’altro ha una modalità prescrittiva ancora più complessa: va adoperato nei casi in cui non si può adoperare il primo e, siccome non è stato autorizzato, ma è sperimentale, bisogna accreditarsi sul sito dell’Aifa come medici sperimentatori. Mi risulta che questo sia stato fatto da pochi colleghi e nessuno ci ha detto che avremmo dovuto attrezzarci. Siamo in una piccola Caporetto - conclude - in cui nessuno dà gli ordini e i medici sono in trincea».