L’ultimo abbraccio al capitano Pino Brizi: «Campione in campo e nella vita»

I funerali del grande calciatore a Macerata, sulla bara la maglia della Fiorentina con il numero 5
I funerali del grande calciatore a Macerata, sulla bara la maglia della Fiorentina con il numero 5
di Luca Patrassi
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Domenica 12 Giugno 2022, 09:10 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 03:23

MACERATA  - Se ne è andato come è sempre vissuto, con stile, con umiltà, con schiettezza. Ieri ai funerali di Pino Brizi si sono trovati in tanti per testimoniargli ancora una volta vicinanza ed affetto, per testimoniare sostegno alla sua famiglia. Doveva essere un addio, ma è stato l’ennesimo racconto di vita, sull’onda dei ricordi, fuori e dentro la chiesa delle Vergini.

Si può iniziare dalla fine dal saluto-testimonianza di Toto Fusari, da quel «Ciao Pino, ciao capitano» che ha stretto i cuori di tutti: «ha utilizzato - ha detto Fusari dopo aver ricordato il Pino Brizi campione, padre di famiglia, corista, narratore di eventi - con dedizione il proprio talento, pochi numeri il 5 e il 6, pochi spostamenti essenziali e sempre di andata e ritorno, ha dato il buon esempio come padre e come capitano.

Il calcio non lo ha licenziato, ora veste la maglia azzurra del cielo. Ciao Pino, ciao capitano». 


Nel tendone-chiesa c’erano la famiglia, gli ex calciatori, gli amici, tre gonfaloni viola (associazione calcio Fiorentina, Museo Fiorentina e Glorie Viola), la maglia numero 5 della Fiorentina con il nome di Brizi appoggiata alla bara. C’erano tantissimi ex giocatori della Robur, la sua prima squadra, e della Maceratese (tra gli altri Prenna, Ciappelloni, Sentimenti, Olivieri, Maroni, Principi, Sbriccoli, Daleno, Borsi, Sartini, Matteucci, Sabbatini, Alessandrini, Salvi), i trainer Fiorenzo Pettinari e Antonio Monaldi, gli ex presidenti della Maceratese Giancarlo Nascimbeni, Maurizio Mosca e Massimo Paci, il consigliere regionale Romano Carancini e l’ex assessore comunale allo sport Alferio Canesin.

Il Vangelo di San Giovanni parlava del chicco di grano che muore e produce frutto e da questo don Giovanni è partito per la sua illuminata celebrazione: «Tutto passa, anche la vita ma noi stiamo costruendo qualcosa di eterno nei cieli, un dono della fede per dare luce nuova alla morte. Siano qui a ripercorrere la vita di questo nostro fratello, a ricordare le folle che andavano dietro a questi nostri eroi, eroi sì perchè erano meno pagati di ora, lavoravano di più ed erano umili e veri.

Negli anni Ottanta sono stato sacerdote a Firenze e ho avuto modo di seguire la Fiorentina e i suoi campioni, Antognoni… Giuseppe (Pino) ha infuso gioia nei cuori di tanti giovani che si proponevano di diventare come lui, oltre alla bravura c’era un cuore schietto, non commerciale, ora ricordano il suo scudetto, ma preziosa è stata anche la sua vita come papà. Un campione non può pensare a se stesso, ognuno di noi è chiamato ad essere morte di se stesso per diventare vita per gli altri, la vita è un dono e si ha più gioia nel dare che nel ricevere. Ricordo Giuseppe quando parlava del suo passato di calciatore con gli amici, che meraviglia nel saperci raccontare, oggi siamo soffocati dalle immagini, bisogna invece partecipare la gioia, essere costruttori di un futuro migliore».

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