La Giessegi taglia il riscaldamento, l'ira di Miccini: «Solo a gennaio 250mila euro in più»

La Giessegi taglia il riscaldamento, l'ira di Miccini: «Solo a gennaio 250mila euro in più»
La Giessegi taglia il riscaldamento, l'ira di Miccini: «Solo a gennaio 250mila euro in più»
di Massimiliano Viti
4 Minuti di Lettura
Giovedì 3 Marzo 2022, 02:35 - Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 08:53

APPIGNANO  - «Le aziende sono sempre più in difficoltà, ma nessuno protesta». Gabriele Miccini, leader della Giessegi di Appignano, azienda di mobili, che conta 600 dipendenti, si stupisce di come «si parli spesso del caro bollette e dell’aumento delle materie prime, ma nessuno faccia niente per cambiare le cose, tantomeno la classe politica». 

Caro bollette, è allarme: scatta la caccia a rate e sconti. «Ma i costi resteranno ancora molto alti»

È contro il governo che l’imprenditore punta il dito: «Sono giorni che in Italia e in Europa discutono della guerra, dal caldo dei loro palazzi, mentre io nella mia azienda ho dovuto scegliere di ridurre l’accensione del riscaldamento.

Prima andava per dieci ore al giorno, ora lo accendiamo al mattino e poi restiamo al freddo. Solo nel mese di gennaio ho pagato 250mila euro in più di metano e non oso immaginare a quanto ammonterà la bolletta di febbraio visto che i prezzi aumentano di giorno in giorno». Secondo Miccini la transizione energetica avviata a livello europeo si è aggiunta alla guerra in Ucraina e ad un Paese, l’Italia, cui manca l’autonomia per le materie prime. «Io ho sulle spalle 600 dipendenti e tutto l’indotto - dice - . Devo arrabattarmi ogni giorno per andare avanti, trovare soluzioni e prevenire i problemi. I politici dovrebbero fare lo stesso per la nazione: avrebbero dovuto pensare prima che saremmo arrivati a questo punto. Sono dieci anni che Putin rivendica la neutralità dell’Ucraina e quanto si sta verificando oggi era da tempo prevedibile».

L’imprenditore non nasconde, quindi, la sua preoccupazione per le conseguenze contingenti ma anche per quelle future. «Tutti coloro che lavorano direttamente con la Russia e l’Ucraina pagheranno subito queste scelte. Per quanto ci riguarda - spiega - le doghe di legno per le reti arrivano tutte dalla Russia e dall’Ucraina. Ci hanno avvisato che non ci saranno più consegnate e dovremo tornare alle reti a molla. A questo si aggiunge il caro bollette e l’aumento del gasolio per i trasportatori. Ho dato loro il ritocco dello stipendio, ma fanno comunque fatica con i prezzi che aumentano». La paura delle imprese è quella di non riuscire più a coprire i costi con i ricavi. «Per l’Italia le aziende sono il fanalino di coda - denuncia - . Vivono di chiacchiere, ma noi ci troviamo ogni giorno a fare i conti con i fatti. Temiamo di non riuscire a ribaltare sul mercato l’aumento delle materie prime e se anche riuscissimo a farlo, ci sarà di sicuro un crollo dei consumi perchè il potere d’acquisto, purtroppo, resta quello. Se i costi superano i ricavi dobbiamo chiudere: le aziende non possono aumentare il debito come lo Stato fa con quello pubblico». 

Allora guarda alle possibili soluzioni che il governo dovrebbe prendere, almeno sul fronte energetico. «Era necessario dare più tempo alla transizione ecologica - dice - . Bisognava immaginarla da qui a vent’anni, sperando che la fusione fredda possa davvero verificarsi. Le alternative sono il nucleare e le trivellazioni che finora la politica ha snobbato. Ora ci fanno stare al freddo e, per ingraziarsi l’elettorato, gli stessi che non li hanno voluti dicono avremmo dovuto pensarci prima. Bisogna provare a essere più autonomi - conclude - e avere almeno il 40 percento di autonomia energetica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA