Virus Lombardia, la crisi del modello "Pirellone" : la catena di errori che ha fatto dilagare i contagi

Virus Lombardia, la crisi del modello "Pirellone" : la catena di errori che ha fatto dilagare i contagi
di Claudia Guasco
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Venerdì 22 Maggio 2020, 07:24 - Ultimo aggiornamento: 14:56

Guido Marinoni, presidente dell'Ordine dei medici di Bergamo, paragona l'epidemia di Covid-19 in Lombardia «a un disastro aereo: non si può tornare indietro, ma recuperare la scatola nera è indispensabile per implementare la sicurezza. Mi rendo conto che in questa fase di acceso scontro politico sia difficile, non è però un motivo sufficiente per non analizzare gli errori ed evitare di ripeterli». E in Lombardia, dicono i medici che dal 20 febbraio hanno affrontato l'epidemia basandosi su protocolli contrastanti, interventi inadeguati e senza mascherine, di sbagli ne sono stati commessi tanti.

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PRIVATIZZAZIONE
La causa di tutto, secondo il medico del lavoro già consulente dell'Iss Vittorio Agnoletto, va ricercata «nell'abbandono dell'assistenza territoriale e nella privatizzazione della sanità lombarda», il cosiddetto modello Formigoni, l'ex governatore condannato. Nel 1981 in Lombardia c'erano 530 mila posti letto, oggi sono meno di 215 mila, le Usl erano 642 e nel 2017 solo 97. Questo depauperamento spiega la catena di errori che ha portato al disastro Covid-19. Il primo avviene all'ospedale di Codogno, dove domenica 16 febbraio il paziente 1, il trentottenne Mattia, arriva «senza presentare alcun criterio che avrebbe potuto identificarlo come caso sospetto d'infezione da coronavirus secondo le indicazioni della circolare ministeriale del 27 gennaio 2020», dichiara Massimo Lombardo, direttore dell'Azienda sanitaria di Lodi. Mattia torna il 19 febbraio, già grave, il tampone gli viene fatto alle 21.20 di giovedì 20 febbraio: dal momento dell'ingresso in ospedale a quello del test trascorrono 36 ore, periodo in cui è entrato in contatto con medici, infermieri e un intero padiglione di pazienti. A questo punto esplode il caos: in attesa di direttive regionali il personale presente va a casa per autoisolarsi, salvo poi rientrare in servizio per carenza di operatori. «Diciamo che nel caso di Codogno la Regione Lombardia può essere stata travolta dall'effetto sorpresa - commenta un operatore sanitario - Tutto quello che è successo dopo però non ha giustificazioni».

IL COLLASSO DEL SISTEMA
Lo schema infatti si ripete al ponto soccorso di Alzano Lombardo, il 23 febbraio: ci sono i primi due tamponi positivi, l'unità di crisi della Regione chiude l'ospedale alle tre del pomeriggio salvo riaprilo in serata senza fornire direttive. Soprattutto, lasciando andare a casa il personale e i parenti in visita senza alcuna operazione di tracciamento, isolamento né tampone. «Chiudere Alzano avrebbe significato dover chiudere nei giorni precedenti gli ospedali di Lodi, Crema, Cremona e Pavia e in quelli successivi tutti gli ospedali della Lombardia, negando l'assistenza a tanti pazienti che invece abbiamo curato», la replica del direttore generale al Welfare Luigi Cajazzo. Così è collassato il sistema sanitario lombardo, che non è riuscito ad arginare la pandemia. «Perché la rete territoriale che avrebbe dovuto farsi carico dei pazienti è stata smantellata, i pronto soccorso sono diventati luoghi di contagio anziché di prevenzione e gli ospedali travolti dall'arrivo di malati già gravi», riassume il capodelegazione del Pd in commissione sanità della Regione Gian Antonio Girelli. Questo in una regione con un budget per la salute di 19.867,3 milioni nel 2020, in aumento di 34 milioni. Ma la riorganizzazione delle Asl in Agenzie di tutela della salute non ha funzionato: laddove avrebbe dovuto esserci assistenza sul territorio sono rimasi solo i medici di medicina generale, «un prima fila e disarmati, senza mascherine, in una sorta di abbandono», dice Marinoni. Ciò che ha funzionato in Veneto, in Lombardia è rimasto sulla carta: la creazione di distretti sanitari e di poliambulatori in stretto contatto con i medici di base, che avrebbero evitato il disastro negli ospedali. «Sullo sfondo - rileva Girelli, resta il rapporto pubblico-privato. Nessuno vuole demonizzare la sanità privata, ma tocca al pubblico dettare le regole, che non devono essere a discrezionalità dei privati».

STRAGE NELLE RSA
La mancanza di controllo sul territorio sembra anche all'origine delle stragi nelle Rsa, con centinaia di anziani morti. «In queste strutture non c'è stata alcuna valutazione dei rischi - sottolineano gli esperti - Nessuna direttiva precisa sui comportamenti da tenere né monitoraggio del personale sanitario, pochissimi i tamponi eseguiti».
Una superficialità che ha portato alla famigerata direttiva dell'8 marzo, nella quale i pazienti positivi sono stati trasferiti agli ospedali al Trivulzio e in altre case per anziani. E se il virus dovesse tornare? «Ora abbiamo solo otto Unità speciali di continuità assistenziale contro le 65 previste per Milano e Lodi», denunciano i sindaci. E anche nelle zone più colpite come la bergamasca, avverte Marinoni, «siamo ben lontani dall'immunità di gregge». Arriverà novembre e la gente avrà la febbre. «E allora che si fa? Il tampone, se riusciremo a rendere il sistema efficiente. Oppure mettiamo di nuovo tutti in quarantena».

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