Coronavirus, il mistero del super diffusore in Francia e del mancato contagio in Italia

Coronavirus, il mistero del super diffusore in Francia e del mancato contagio in Italia
di Mauro Evangelisti
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Mercoledì 12 Febbraio 2020, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 22:01

Perché l’inglese tornato da Singapore con il coronavirus ha contagiato undici persone nel Regno Unito, in Francia e in Spagna? E perché invece i due turisti di Wuhan, anche loro infetti e oggi ricoverati allo Spallanzani in terapia intensiva, non hanno trasmesso il virus, neppure all’autista della macchina che li ha accompagnati in un lungo viaggio tra Parma, Firenze e Roma? In inglese li chiamano “super spreader”, in italiano “super diffusori”, coloro che contagiano - ovviamente senza volerlo - molte persone.

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Per il coronavirus (vale a dire per Covid-19) si ipotizza che la media dei contagiati sia di 2,4 per ogni infettato. Ma è appunto una media, il dato cambia da soggetto a soggetto. Ad oggi, gli scienziati non sono riusciti a definire le caratteristiche di un “super diffusore”, a capire quali siano le caratteristiche di chi più di altri può contagiare. Ricorda il professor Roberto Cauda, direttore dell’unità operativa complessa Malattie Infettive del Policlinico Gemelli: «Non esiste un criterio identificativo del super diffusore, sarebbe troppo facile. Non c’è in questa, come in altre malattie. C’è di fatto una casualità, ancora la spiegazione scientifica non siamo in grado di darla. Può dipendere da situazioni immunologiche, ma in questo momento nessuno è in grado di identificarlo. Va ricordato che l’esistenza di super diffusori è nota anche per altre malattie».
 



C’è però un’altra spiegazione che potrebbe offrire una risposta complementare alla domanda «perché il paziente britannico ha contagiato undici persone e i due turisti cinesi in Italia non ne hanno contagiato nessuno?». Nell’hotel di Roma dove hanno alloggiato e dove sono stati soccorsi, tutti ricordano che la coppia di Wuhan (marito e moglie, di 66 e 65 anni) usava costantemente la mascherina. Teniamo conto che arrivavano non solo da un’area dove già c’era allarme per il coronavirus, ma dove (vale più in generale in tutta l’Asia) quando hai semplicemente un raffreddore è normale utilizzare questo tipo di protezione. Lo stesso potrebbe valere - anche se non lo sappiamo per certo - per la famiglia di Taiwan risultata infettata al loro ritorno a Tapiei - padre, madre e due figli - che hanno viaggiato tra Venezia, Toscana e Roma, usando sempre il treno, ma, stando a tutte le verifiche, non hanno per fortuna trasmesso il virus: anche loro potrebbero avere sempre indossato la mascherina.

E’ vero, come si dice ormai da giorni, che questo tipo di cautela ha una valenza limitata per difendersi, ma serve a evitare di contagiare qualcun altro. In sintesi: ad oggi l’Italia è stata efficace nell’applicare una rete di controlli rigorosi, ma dall’altra parte è stata anche fortunata perché chi è arrivato nel nostro Paese, presumibilmente già con il virus, come appunto la coppia di Wuhan e la famiglia di Taiwan, non era un super diffusore e comunque, come vuole l’abitudine asiatica, indossava la mascherina. In realtà, la storia del britannico, che è già guarito, tornato da Singapore con il virus deve preoccuparci anche per un altro motivo: non è stato in Cina, ha seguito un percorso non a rischio - Singapore-Europa - e dunque era un insospettabile. Singapore, in particolare, dove oggi a Marina Bay è stato evacuato un intero piano di un grattacielo perché il dipendente di una banca è risultato infetto, è uno dei punti nevralgici in cui le precauzioni devono essere più forti: ha una importante comunità cinese ed è un centro internazionale del business e della finanza, in cui vivono, lavorano o passano decine di migliaia di expat (occidentali). I contagiati sono già 50, il governo locale ha già aumentato i controlli con la verifica della temperatura dei passeggeri in aeroporto.

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