Giorgio Ursicino
MilleRuote
di Giorgio Ursicino

Auto, ora in Parlamento tutti vogliono gli incentivi. Ma non ci sono i soldi

Auto in attesa di essere vendute
Auto in attesa di essere vendute
di Giorgio Ursicino
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Martedì 30 Giugno 2020, 13:42 - Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 09:00
Non c’è pace per gli incentivi dell’auto. E il mercato, inevitabilmente, ne risente. Inutile nasconderlo, il covid ha cambiato abitudini e umore dei consumatori che, soprattutto per acquistare beni durevoli, ci pensano più di una volta prima di esporsi finanziariamente. Se poi all’orizzonte c’è la speranza di un bonus che, secondo alcuni, dovrebbe addirittura scattare il primo di luglio, i clienti negli showroom dei concessionari arrivano con il contagocce. Rumors dànno l’accordo ormai per raggiunto in Commissione Bilancio e l’emendamento al decreto Rilancio approderà presto in Aula con tanto di copertura, in ogni caso non così cospicua per allargare la platea ad un numero significativo di vetture. In realtà, sembra che le cose non stiano esattamente così.

O meglio, l’intesa fra le forze politiche ora c’è, ma non ci sono le coperture, i soldi. Sono serviti parecchi mesi, ma più o meno tutte le compagini parlamentari hanno capito che, senza un intervento significativo sul settore automotive, l’economia del paese rimarrà con le gomme sgonfie. Si sono convinti anche i 5S ostinati a voler incentivare solo le auto con la spina, che sono meno del 2%, lasciando sulla strade 40 milioni di vetture fra le più vecchie d’Europa. È ormai chiaro anche agli ecologisti più oltranzisti che l’unico modo per migliorare le emissioni del nostro parco circolante è sostituire gli oltre 13 milioni di vetture “maggiorenni” (con oltre 18 anni di vita) con Euro 6 a benzina e, perché no, diesel.

Le auto con la spina sono eccellenti, ma in Italia restano di nicchia in quanto i nostri governi (nel tempo) hanno trascurato che, per rifornirle, bisogna promuovere le “colonnine”. Piccola dimenticanza, ed ora pretendono le vetture elettriche diffondendo fra gli automobilisti la “sindrome da autonomia” (in autostrada i punti di ricarica non ci sono proprio). Lo stallo crea problemi di occupazione, di cassa integrazione e di entrate per l’erario, tutte voci che pesano come macigni sul bilancio pubblico. Nonostante il tappo sullo sforamento del debito sia stato rimosso dall’Europa, i 55 miliardi stanziati per foraggiare le misure del decreto sono già stati tutti allocati e, per finanziare la valanga di emendamenti, sono rimaste le briciole con cui fare i conti.

I milioni di euro messi a disposizione del Parlamento per correggere la manovra governativa senza intaccare l’impianto già approvato sono circa 800 e un intervento un po’ significativo sull’auto ne richiede almeno la metà. Nonostante la voglia ora ci sia, prende corpo l’ipotesi di rimandare gli aiuti alla mobilità (escludendo i monopattini che li hanno già presi...) alla prossima tornata nella quale, pare, verrà incrementato il debito di altri 7-8 miliardi. Intanto, il settore boccheggia. Nel mese di giugno, l’andamento del mercato è meno drammatico, a due terzi del mese sia gli ordini che le immatricolazioni viaggiano a -15%. Il comparto, però, non è così in forma per dare il colpo di reni di fine mese come avveniva prima e c’è il rischio che giugno si chiuda al -20%.

Questa volta, la palla al piede sono i canali business che stanno andando peggio di quello privato, le “famiglie”. Quest’ultimo è al -10%, rispetto al -30% del noleggio a “lungo termine” e al blocco quasi assoluto del “breve termine”, assolutamente penalizzato dalla mancanza di turismo, soprattutto estero. L’Unrae, l’associazione dei costruttori esteri, ha lanciato l’ennesimo, inascoltato, allarme. E si è giustamente indignata con quei politici che ostentano tranquillità perché «stiamo facendo come la Germania». Non serve fare tanta strada per capire che, dal punto di vista della mobilità, la locomotiva d’Europa è su un altro pianeta rispetto al Belpaese.

A Berlino, la cancelliera Merkel in persona ha avviato da tempo il piano della transizione energetica creando le strutture necessarie con ingenti investimenti pubblici. E, di conseguenza, la quota di mercato dei veicoli che possono viaggiare per un buon numero di chilometri a “zero emission” è tripla rispetto al nostro paese. Ancora più elevata (3,5 volte) la differenza dei punti di ricarica ogni 100 chilometri di strada. Il nostro parco circolante è il 20% più vecchio rispetto a quello tedesco che durante il lockdown ha perso la metà rispetto a noi. L’Iva, nei prossimi sei mesi, in Germania sarà al 16% e non al 22%, e per le vetture aziendali è detraibile al 100%, non solo al 40% (peraltro in deroga rispetto alla normativa europea). Forse ha ragione l’Unrae: prendendo i tedeschi come esempio c’è da farsi parecchio male. 
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