Roma, Talluto condannato a 24 anni di carcere

Roma, Talluto condannato a 24 anni di carcere
di Adelaide Pierucci
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Venerdì 27 Ottobre 2017, 10:46 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 21:05

Ventiquattro anni di carcere. E' la condanna inflitta a Valentino Talluto, il trentaduenne romano, accusato di aver infettato con il virus dell'Hiv almeno trenta partner, il figlio in grembo di una di queste, e di averne esposte al rischio ventisette pretendendo intimità non protette nonostante fosse a conoscenza della sieropositività da dieci anni. I giudici della III Corte di Assise, presidente Evelina Canale, non hanno riconosciuto però il reato di epidemia dolosa, ma condannato il presunto untore solo per i reati di lesioni gravissime in 30 casi su 32. Assoluzione per i ventisette casi di lesioni tentate, per i casi in cui le ragazze erano state miracolate. Le vittime in aula si sono abbracciate e hanno pianto. Lacrime di commozione, di gioia e di dolore: «Resti in carcere. Non lo perdoneremo. Non ci ha chiesto nemmeno scusa. Siamo unite dalla gioia di saperlo in carcere». Nessuna reazione da parte di Valentino Talluto, sempre presente in aula, impassibile. «Andremo in appello, non è un mostro», hanno anticipato i difensori «Anche lui è stato contagiato». Per l'imputato il pm Elena Neri aveva chiesto l'ergastolo con due anni di isolamento diurno, il massimo della pena prevista dal codice.

Il giovane, diplomato in ragioneria, era stato arrestato nel dicembre 2015 con l'accusa di aver infettato sette partner conosciute per lo più in chat e con le quali aveva stabilito una storia. Avviata l'inchiesta, il pm Francesco Scavo, con l'aiuto della polizia giudiziaria, è risalito alle altre vittime, facendo scattare una seconda misura cautelare. La svolta è arrivata quando l'istituto Spallanzani, specializzato in malattie infettive, ha individuato lo stesso cluster epidemico di Talluto su una trentina di pazienti, poi invitate in procura e interrogate. Dietro ogni ragazza sieropositiva storie simili. Tutte avevano avuto intimità con l'indagato.

Per la procura Talluto, almeno dal 2006 fino al giorno prima dell'arresto, avrebbe usato il corteggiamento come un'arma.
«Che differenza c'è tra chi indossa una cintura esplosiva e chi si butta in mezzo a trenta donne e le infetta tutte?», aveva detto il pm Neri durante la requisitoria. Contagi volontari, secondo l'accusa. Perché Valentino sapeva da quasi dieci anni di essere sieropositivo e l'ha nascosto. Con una lista di bugie. La più usata, l'allergia al lattice del profilattico. Poi che era sano. E che era un donatore di sangue, e proprio pochi giorni si era sottoposto ai test di routine.

Il magistrato allora aveva dipinto la doppia faccia di Talluto. Un ragazzo per bene, all'apparenza all'antica, che non beve e non fuma, ha un posto fisso, porta i fiori alle fidanzate e i pasticcini alle suocere, ma che in realtà ama i locali per scambisti e
«che prosegue sempre e comunque un programma libidinoso al fine di contagiare più partner possibili. Mostrando così malvagità». L'unica ragazza che ha parlato a sua difesa in aula, l'ultima e attuale fidanzata, rischia di finire nel registro degli indagati. La procura ne chiesto la trasmissione degli atti in procura per procedere con l'ipotesi di falso. «Ho sentito io Valentino dire a una delle ragazze che era sieropositivo. Non è vero che ha taciuto», aveva raccontato aggiungendo «Io Valentino me lo sposo. Vogliamo avere figli». Invece anche in quella occasione Valentino Talluto avrebbe risposto con una menzogna, per di più inviando per WhatsApp un certificato contraffatto per mostrare di essere sieronegativo. Un certificato realizzato proprio modificando gli esiti del test della fidanzata, rimasta indenne.

I difensori di Talluto: «Non è possibile stabilire chi ha infettato, come e quando». Il caso per loro non è chiuso.

Valentino Talluto non ha mai chiesto scusa.
«Erano consenzienti. L'amore si fa in due», si era difeso nell'interrogatorio subito dopo l'arresto. «Non sono mostro», ha ripetuto in aula, evitando però di sottoporsi all'interrogatorio. Forse, invece, ha agito per vendetta. La madre, con problemi di tossicodipendenza era morta giovane per Aids, anche se sembra non gli abbia trasmesso la malattia.

Ma lui chissà perché, quel fardello, voleva affibbiarlo anche ad altri. Anche a chi gli voleva bene. «Una cattiveria inaudita», dice una delle ragazze contagiate.

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