La vicenda risale a inizio anno, ma ha avuto una svolta negli ultimi giorni: i dipendenti coinvolti sarebbero circa un milione. «Ho già sensibilizzato le strutture tecniche competenti per avere un approfondimento sulle cause e le responsabilità di quanto accaduto», ha detto la Bongiorno. D'altronde non si può negare ai dipendenti quella che a tutti gli effetti è una parte di stipendio (sette euro per ticket, moltiplicati per i giorni di lavoro, sono almeno 140 euro a statale, cifra che torna comoda soprattutto a chi ha buste paga meno pesanti).
La Consip, competente in fatto di acquisti per la Pa, sta affiancando le diverse amministrazioni nella ricerca di un'exit strategy. L'idea è quella di un tavolo pilota, che coinvolga qualche grande ente, per fornire delle indicazioni. Raccogliere i buoni rifiutati e trovare subito un nuovo fornitore per sostituirli potrebbe essere la strada. Certo il rischio è che per qualche tempo i dipendenti restino a secco, in attesa della sostituzione.
Intanto i sindacati dei lavoratori pubblici non mollano la presa, con la Cgil che rivendica «l'estrema urgenza» e «il rimborso» dei buoni in circolazione.
Intanto la Procura di Genova ha aperto un'inchiesta relativa all'insolvenza della Qui! Group: al momento si tratta di un fascicolo 'per atti relativi' affidato al sostituto procuratore Patrizia Petruzziello che starebbe acquisendo in prima battuta i numerosi decreti ingiuntivi da parte dei creditori: le ipotesi di reato a cui starebbe lavorando la Procura sono al momento quella di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta.
Il caos dei buoni pasto ha messo in crisi migliaia di lavoratori ma sopratutto gli esercenti commerciali che hanno continuato ad accettare i buoni nonostante da mesi fossero cominciati i ritardi nei pagamenti da parte dell'azienda accumulando così crediti da diverse decine di migliaia di euro.