Scadono i termini di carcerazione
Liberi i presunti assassini dell'albanese

Scadono i termini di carcerazione Liberi i presunti assassini dell'albanese
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Martedì 13 Maggio 2014, 20:06 - Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 09:40
ACQUAVIVA PICENA - I presunti assassini di Keci Petrit, il giovane albanese giustiziato nel gennaio 2008, sono usciti dal carcere per scadenza dei termini della carcerazione, ed ora si trovano a San Benedetto con l'obbligo di dimora. Hanno trascorso dietro alle sbarre 6 anni dei 30 cui erano stati condannati dal Gup di Ascoli. A distanza di due mesi dall'efferato delitto i tre albanesi furono arrestati dai carabinieri e rinchiusi nella casa circondariale di Marino del Tronto con l'accusa di omicidio volontario in concorso. Al termine del processo di primo grado vennero condannati a 30 anni di reclusione, pena confermata dalla Corte d'Appello di Ancona. La Cassazione, però, annullò tale sentenza rinviandola alla Corte d'Appello di Perugia che confermò i 30 anni di reclusione. Per la seconda volta la Cassazione annullò la sentenza per cui si dovette rifare un nuovo processo presso la Corte d'Appello di Firenze. Di tempo ne è dunque trascorso al punto che si è arrivati alla decadenza dei termini e i tre sono tornati in libertà. Era il gennaio di sei anni fa quando il corpo carbonizzato di un albanese venne rinvenuto da alcuni residenti in un casolare abbandonato lungo la strada che conduce ad Acquaviva Picena, all'altezza della contrada Fontepezzana. I carabinieri di San Benedetto raccolsero le testimonianze delle persone che casualmente avevano fatto la macabra scoperta. La prima ipotesi che venne avanzata dagli investigatori fu che potesse trattarsi di un regolamento di conti. Il delitto sarebbe stato compiuto qualche giorno prima del rinvenimento del cadavere. Agli occhi degli inquirenti si presentò una scena impressionante: il corpo del giovane, completamente nudo, era devastato da numerosi colpi di pistola che avevano tutti raggiunto la testa. Inoltre, gli assassini avevano cosparso la parte superiore del corpo con liquido infiammabile e dato fuoco. Poi, le fiamme avevano fatto il resto devastando il volto della vittima. Forse gli esecutori dell'efferato delitto volevano fare in modo che l'identità del giovane non fosse scoperta. Il medico legale che effettuò la ricognizione cadaverica non escluse, infine, che nel momento in cui le fiamme stavano divorando il corpo, lo sventurato fosse già morto.

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