Una mamma fa festa dopo un mese di ricovero: «Riabbraccio la mia famiglia ma ho rischiato di morire»

Romina Santini con la sua famiglia
Romina Santini con la sua famiglia
di Francesca Pasquali
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Giovedì 4 Febbraio 2021, 01:50

PORTO SAN GIORGIO - A Romina Santini, ieri, il regalo più bello gliel’hanno fatto i due figli che, dopo 35 giorni in ospedale, ha potuto stringere a sé. Non vedevano l’ora di riabbracciare la mamma e, appena i medici del Murri hanno detto che poteva tornare a casa, le hanno preparato una festa a sorpresa, con tanto di palloncini, cuori e una R, l’iniziale del nome.

Lei, della festa, lo sapeva, ma ha fatto finta di niente. Li ha stretti e l’incubo è sparito. Ha rischiato di morire per il Covid, Romina, che ha 42 anni e vive a Porto San Giorgio. Adesso che il peggio è passato lancia un appello ai giovani. «State attenti. Non rischiano la vita solo gli anziani. Può succedere a tutti. Anch’io pensavo che fosse come una normale influenza, ma non è così», dice e sa che la strada per guarire è ancora lunga. Che, per tornare alla vita di prima, dovrà armarsi di pazienza e caparbietà. Perché le due settimane intubata su un lettino della Rianimazione dell’ospedale di Fermo hanno lasciato strascichi.


Le difficoltà
«Quando mi hanno risvegliata – racconta –, non camminavo più. Mi facevo i bisogni addosso e non muovevo bene le mani. Ero tornata una bambina piccola. Ho dovuto ricominciare tutto da capo. I primi giorni camminavo con il girello. Adesso, anche se non bene, riesco da sola. Ma una mano la sento intorpidita. So che ci vorrà tempo». Dei giorni passati tra sonno e veglia ricorda pochissimo. Qualche flash e parole carpite qua e là. Gli occhi dei medici e degli infermieri, però, ce li ha stampati in mente. «I miei angeli», li chiama. «Per me – spiega – erano tutto. Come una famiglia, visto che la mia non potevo averla accanto. Mi stringevano le mani e mi accarezzano. Quando mi hanno detto che mi avrebbero addormentata, non volevo. Avevo paura di non rivedere più i miei bambini. Mi hanno detto che era per il mio bene».

Come ha contratto il Covid, Romina, non lo sa.

Un giorno è tornata a casa e non si sentiva bene. Pensava fosse l’influenza di stagione, ma poi sono arrivate febbre e tosse forte. Il medico di famiglia le ha prescritto il tampone: positivo. Il giorno dopo è arrivata l’Usca per il molecolare: positivo. All’inizio, Romina è rimasta a casa perché la febbre era sparita. Il virus, no. E dopo due giorni sono tornati i sintomi, più forti. «La saturazione cominciava a diminuire. Parlavo a fatica. Una notte mi sono sentita male, ma, per non spaventare i bambini, non ho chiamato l’ambulanza. La mattina dopo sono andata al pronto soccorso», racconta. Era il 30 dicembre. Il giorno dopo è entrata in Malattie infettive, ma la situazione dei polmoni era seria. Nel pomeriggio, dopo la Tac, è stata spostata in Terapia intensiva. Il 1° gennaio, i medici hanno chiamato il marito Marco: Romina rischiava la vita e doveva essere intubata. A casa, tutta la famiglia ha preso il Covid con sintomi lievi.


L’attesa
Per due settimane, Marco ha aspettato le chiamate del Murri. Giorni a fissare il telefono e a dormire pochissimo. Finché il 16 gennaio, la donna è stata svegliata. Romina è tornata in reparto e ha potuto rivedere i figli, anche se solo attraverso lo schermo di un telefonino. «Sono loro che mi hanno dato la forza», dice mentre li stringe.

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