Ponzano di Fermo, coppia non gli paga il conto lui si fa saldare dalla mamma del giovane ma finisce sotto processo

Il Tribunale di Fermo
Il Tribunale di Fermo
di Francesco Massi
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Sabato 2 Aprile 2022, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 09:01

PONZANO DI FERMO - Sembra una storia uscita da un film sulla commedia all’italiana. Un processo di 10 anni per dirimere una questione di 365 euro. 
 

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Tutto nasce nel 2012 dalle grane affrontate dal titolare di un agriturismo a Ponzano di Fermo per farsi pagare il conto di alcuni pernottamenti e pasti da parte di un ragazzo di Porto S. Elpidio e di una signora straniera che avevano soggiornato nella struttura per alcuni giorni. Quando il titolare ha chiesto il pagamento del conto alla donna, questa ha risposto che avrebbe dovuto farlo il suo accompagnatore.

 

Dopo molti messaggi inviati al cliente e sollecitazioni telefoniche andate a vuoto nelle quali l’imprenditore chiedeva di essere pagato, assieme alla ragazza che aveva usufruito dell’ospitalità, è andato personalmente a casa del ragazzo per essere risarcito. Ha trovato la madre del giovane che invece era assente. Lei dopo aver sentito la storia ha saldato il conto di 365 euro dovuti dal figlio. 

Quest’ultimo, una volta tornato a casa, dopo che la madre ha raccontato il fatto, ha inoltrato una querela per estorsione nei confronti del ristoratore e della ragazza dicendo che questi erano andati nella sua abitazione minacciando la madre con mazze da baseball e di spaccare tutto qualora non fosse stato risarcito. Estorsione perché, secondo il ragazzo, non doveva essere lui a pagare pur ammettendo di essere stato nell’agriturismo. Processo celebrato davanti al tribunale collegiale di Fermo con il titolare dell’agriturismo difeso dagli avvocati Olindo Dionisi di Comunanza e Fabrizio Giustozzi del foro di Macerata, che alla fine hanno ottenuto dal tribunale il proscioglimento dell’imprenditore. 


Nell’ultima discussione il pubblico ministero aveva chiesto sei anni di reclusione sia per il ristoratore che per la donna. «Non c’erano le prove delle condotte estorsive - dice invece Dionisi – e quindi eventualmente in subordine abbiamo chiesto di riqualificare il reato nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che prevede la pretesa di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico, come nel caso dell’imprenditore». Il tribunale ha accolto la tesi della difesa ed ha riqualificato in quest’ultima tipologia di reato l’accusa verso il ristoratore e la ragazza. Quindi entrambi gli imputati sono stati prosciolti perché il reato nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è prescritto dopo 10 anni, mentre non lo sarebbe stato quello di estorsione.

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