Smentite le previsioni catastrofiste, i calzaturieri in trincea: «La guerra in Ucraina non frena più gli affari»

Smentite le previsioni catastrofiste, i calzaturieri in trincea: «La guerra in Ucraina non frena più gli affari»
Smentite le previsioni catastrofiste, i calzaturieri in trincea: «La guerra in Ucraina non frena più gli affari»
di Massimiliano Viti
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Sabato 25 Giugno 2022, 05:40

FERMO  - Tanto tuonò che non piovve. Almeno finora. A quattro mesi di distanza dall’invasione della Russia in Ucraina non si è verificata né la chiusura delle aziende calzaturiere esposte sul mercato russo e ucraino e né risultano montagne di ore di cassa integrazione richieste. I danni al settore della calzatura e della pelletteria sono stati evidenti. E anche qui… non ci piove.

 
La condizione
Tutta la moda italiana sa che il distretto delle calzature delle Marche, in particolare Fermo è quello più danneggiato d’Italia dalla situazione congiunturale e dalle sanzioni che Usa e Europa hanno deciso di applicare nei confronti dell’aggressore.

Ma le dichiarazioni che a più livelli sono state rilasciate nei giorni post invasione, e dopo il varo delle sanzioni, lasciavano presagire uno scenario molto cupo, con le aziende che non avrebbero oltrepassato i 3-4 mesi di vita. Per il momento ciò non si è verificato.

«L’utilizzo della cassa integrazione ordinaria causa guerra è stato esiguo e sicuramente molto inferiore rispetto alle previsioni» conferma Francesco Interlenghi di Femca Cisl: «Alcune richieste di cig sono arrivate sia per il mancato arrivo dei materiali, che ha comportato un fermo produttivo, e sia per limitare l’aumento del costo dei trasporti e dell’energia. Bisogna dire però che le preoccupazioni restano per cui continuiamo a chiedere alla Regione strumenti ad hoc per affrontare le difficoltà del settore della moda rappresentate, in particolare, dalle piccole realtà e dagli artigiani». Secondo lo stesso Interlenghi l’impatto della guerra sull’occupazione è stato limitato dal fatto che le organizzazioni sindacali si sono subito allertate, anche ricorrendo al nuovo strumento del contratto di solidarietà.


I motivi
Gli elementi di resistenza delle imprese calzaturiere fermane più esposte nell’export verso la Russia sono diversi. Il primo è che il business verso Mosca non si è bloccato del tutto. Il problema principale resta l’incasso da parte delle aziende ma abbiamo visto anche al recente Pitti Uomo la presenza di buyer russi che si sono organizzati per ricevere i prodotti italiani, ricercati anche per coprire gli spazi lasciati dalle griffe del lusso che hanno abbandonato il Paese. Inoltre, alcuni calzaturifici fermani hanno fatto ricorso all’attività di conto terzismo e hanno messo in atto tutte le soluzioni possibili per sopravvivere e sperare in un miglioramento della situazione. «Non dimentichiamo che in questi mesi stiamo lavorando per produrre le scarpe della stagione invernale che è la più importante, per cui sarebbe allarmante non avere lavoro in questi mesi» precisa Valentino Fenni, presidente dei calzaturieri di Confindustria Fermo.


Gli sviluppi
«Non possiamo dire di aver oltrepassato il problema. Sarà molto importante la prossima stagione e in particolare il Micam di settembre. E confidiamo anche nel sostegno pubblico per approcciare altri mercati e diventare meno dipendenti dalla Russia» prosegue Fenni che segnala le continue difficoltà che, a causa delle sanzioni, affrontano le imprese per incassare dai clienti di Russia e Ucraina. Secondo lo stesso imprenditore il regolare ciclo produttivo delle aziende viene messo a rischio dalla carenza di personale (quindi ricambio generazionale e necessità di formazione), dalla mancanza di materiali o dal ritardo con cui vengono consegnati. Ritardi che espongono le imprese ad uno stress finanziario: «Il calzaturificio deve pagare le pelli che sono state consegnate in tempo senza averle potute utilizzare perché magari la mancanza dei fondi impedisce l’ultimazione e quindi la spedizione delle scarpe».

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