Fermo, presi gli ultrà delle bombe
Arrestati due tifosi di 44 e 30 anni

Fermo, presi gli ultrà delle bombe Arrestati due tifosi di 44 e 30 anni
di Domenico Ciarrocchi
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Giovedì 21 Luglio 2016, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 15:43
FERMO - «In Francia no, lì mettono le bombe». Se non fosse che qualcuno ha rischiato di rimetterci la pelle, gli attentati contro le chiese svelerebbero una vena umoristica. Una ribellione all’incontrario, infarcita di frasi sbagliate nel momento sbagliato. Intercettati mentre erano con un altro giovane, i due fermani finiti in carcere si scambiavano opinioni di questo genere: macché Francia, troppi pericoli. Avevano deciso di partire lunedì prossimo in auto, destinazione Londra.

Un viaggio sospetto che ha messo fretta agli investigatori e chiuso il cerchio delle indagini. Il blitz L’altra notte sono finiti in carcere, ad Ascoli, Martino Paniconi, 44 anni a novembre, e Marco Bordoni, 30 fra una manciata di giorni, detto il “Lupo”, tutti e due di Capodarco, frazione fermana che dalla collina guarda il mare. La frazione dove si trova la Comunità di don Vinicio Albanesi. Sarebbero stati loro a seminare il panico fra i fedeli - e non solo - piazzando una serie di rudimentali ma efficaci ordigni davanti a quattro chiese di Fermo fra il febbraio scorso e il recente mese di maggio, con una precedente sortita, ma tutta da verificare, ai danni di una parrocchia di Porto Sant’Elpidio. Un caso che ha tenuto banco e spinto i carabinieri a «impiegare - come ribadisce il generale Salvatore Favarolo, a capo dei carabinieri in regione – le nostre migliori forze per individuare i colpevoli».

A mano a mano i primi indizi hanno assunto la sostanza della prova: intercettazioni telefoniche e ambientali, pazienti pedinamenti e interminabili appostamenti. Nelle settimane scorse il blitz in un casolare sopra la chiesa di San Marco alle Paludi, la penultima a finire nel mirino degli attentatori. La chiesa di don Vinicio. Che oggi dice: «Sono ragazzi del nostro territorio, ci sentiamo feriti».

Il primo a dare l’allarme era stato un ciclista in mountain bike che all’interno della costruzione, abbandonata da anni, aveva trovato il laboratorio dei bombaroli. Le tracce Le indagini sono state condotte dai carabinieri del comando di Ascoli, della compagnia di Fermo e del Ros di Ancona, coordinate dalla Procura di Fermo. Il capo della Procura, Domenico Seccia, parla di «tracce di polvere da sparo rinvenute durante le ultime perquisizioni». Sono state trovate anche micce, barattoli in lamiera e i resti di lavorazione di ordigni rudimentali. Fondamentale la prova del Dna da un’impronta digitale. Più vaghe le indicazioni sul movente: sono finite sotto tiro le chiese ma gli obiettivi dei due erano generici: si parla di «bersagli istituzionali», come ribadisce Seccia. Insomma: sono state chiese, ma potevano essere anche il tribunale o chissà cos’altro.

Dal profilo Facebook del più anziano emergono particolari inquietanti, tanto che il procuratore parla di «assoluta dissennatezza» da parte della coppia. Commenti al vetriolo su don Vinicio, continui riferimenti all’ultimo caso che ha sconquassato la coscienza pubblica e l’immaginario collettivo della città e di tutta la provincia, l’omicidio del nigeriano Emmanuel. Una vicenda per la quale è finito in carcere Amedeo Mancini, come i due fermati per le bombe tifoso acceso della Fermana. Gli «Amedeo fratello e amico mio» si sprecano, con una valanga di punti esclamativi. Tanto che la coincidenza temporale fra l’arresto di Mancini e la conclusione delle indagini sulle bombe, unite alla passione per la squadra di calcio e alle vite parallele dei tre hanno fatto scattare un campanello d’allarme. Ci sono collegamenti fra l’omicidio del rifugiato nigeriano e le bombe contro le parrocchie? C’è un’identica matrice politica? «Collegamenti - chiarisce il sostituto procuratore Mirko Monti, che ha coordinato l’inchiesta - non ce ne sono. E, allo stato attuale, non ci sono altri indagati per gli attentati. Anche il discorso sulla matrice politica non regge: in un caso, quello di Mancini, possiamo fare riferimento all’ultradestra, nell’altro, quello dei due fermati, all’anarchia». Ma sono termini da maneggiare con cura, come le bombe. Passioni nate da qualche lettura volante, comunque materiale raccolto in casa e poi finito nel fascicolo della Procura, sotto sequestro insieme a tutto il resto. Non si esclude che, malgrado i magistrati neghino, in futuro possa emergere il coinvolgimento di altre persone, magari amici della coppia, in silenzio e solidali: occorre chiarire, e in fretta, chi sapeva delle bombe e non ha fatto nulla.


Dal profilo Facebook di Paniconi, intanto, emergono anche riferimenti alla destra e l’estrema destra, considerazioni sull’immigrazione che potrebbero avallare la pista degli ordigni contro i preti di strada, pronti a battersi per accogliere gli stranieri.

«L’investigatore - chiosa Seccia - non deve tralasciare nulla». Ma è chiaro che ci si indirizzi verso la pista dei due sbandati, che «sceglievano i loro obiettivi per caso», che ce l’avevano un po’ con tutti e nessuno, anche se dai documenti finiti nel dossier della Procura e dal mondo delle rete emerge una chiara rabbia verso le istituzioni: un tormento sfociato chissà come e perché nelle bombe davanti alle chiese. Queste, almeno, le argomentazioni dell’accusa, che stamane alle 9 passeranno al vaglio del Gip del tribunale di Fermo Marcello Caporale in sede di convalida dell’arresto. Ieri gli avvocati Stefano Chiodini per Bordoni e Alessandro Bargoni per Paniconi si sono recati ad Ascoli per un primo contatto con gli assistiti. Sotto esame, in primis, i reati contestati alla coppia. I due respingono le accuse, negando, fra l’altro, l’intenzione di voler partire lunedì prossimo per Londra.
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