La rabbia dei titolari delle palestre: «Riaprono gli stadi ma non le nostre sale, così ci hanno umiliato»

Nelle palestre cresce la rabbia per il prolungarsi della chiusura
Nelle palestre cresce la rabbia per il prolungarsi della chiusura
di Francesca Pasquali
4 Minuti di Lettura
Domenica 18 Aprile 2021, 07:38

FERMO - «Una beffa». «L’ennesima presa in giro». «La prova che, per chi decide, siamo l’ultima ruota del carro». Non l’hanno presa bene, le palestre, la notizia che riapriranno il primo giugno. Troppo in là e, soprattutto, dopo tutti gli altri.

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Quando gli amanti del fitness potranno tornare a sudare sui tapis roulant, l’estate sarà ormai alle porte. E i clienti, più che di macinare chilometri sulle cyclette o di alzare pesanti manubri, potrebbero aver voglia di spaparanzarsi al sole. «L’anno scorso ci hanno fatto riaprire il 25 maggio, quest’anno ancora più tardi. A giugno, la stagione è ormai andata. Se i clienti verranno, sarà solo perché non vedono l’ora di riavere un po’ di normalità», dice Alessandra Corradini della Colosseum di Fermo. La palestra resterà aperta anche d’estate. Perché non ha spazi all’aperto dove traslocare i corsi. E perché vuole provare a recuperare i mesi persi. Anche se, spiega la titolare, tra abbonamenti rimasti indietro, aiuti col contagocce e la paura che ancora circola tra la gente, non si prospettano affari d’oro. 


La delusione
Non nasconde la delusione per una riapertura che definisce «tardiva», Daniela Talamonti che, a Marina di Altidona, gestisce la palestra Dspin. A preoccuparla, anche la nebbia che avvolge i protocolli di sicurezza. «Sembra che ci chiederanno di rispettare quelli di ottobre. Gli stessi che ci hanno imposto, per poi farci chiudere. Ma non ci sono studi scientifici che hanno riconosciuto il fitness come luogo di focolai. Altrimenti, saremmo stati noi i primi a dire di chiudere», spiega. «Ci sentiamo umiliati. Il nostro settore – prosegue – continua a essere considerato non essenziale.

Invece, contribuiamo a migliorare le condizioni di salute delle persone, a farle stare meglio e ad alleggerire la pressione sugli ospedali». L’anno scorso, d’estate, il Comune aveva messo a disposizione delle palestre un’area pubblica. Loro s’erano organizzate con gli orari per non accavallarsi. Il sistema aveva funzionato e quest’anno sarà riproposto. Che l’attività fisica, oltre che al corpo, faccia bene anche alla mente è un’idea comune tra i gestori delle palestre. La pensa così anche Silvia Ferracuti, titolare, a Montegiorgio, del centro pilates Fem. Come tanti colleghi, nei mesi di chiusura, è andata avanti con le lezioni online e come tanti colleghi ammette che non è la stessa cosa. 


La dimenticanza
«In questi mesi difficili, avremmo potuto essere un aiuto e un diversivo sia fisico che emotivo. Sport e movimento portano benessere. Invece, si sono dimenticati di noi, ma noi non molliamo», dice e fa sapere che, dal 26 aprile, ripartirà con gli allenamenti individuali all’aperto, «ognuno sul suo tappetino». «Ci trattano come le ultime ruote del carro. Riaprono gli stadi e noi no. Ci sentiamo impotenti». A parlare è Erika Abbruzzetti della We Fit You. Appena le Marche sono tornate arancioni, la palestra di Porto Sant’Elpidio ha ripreso gli allenamenti all’aperto. Qui la beffa è doppia. Perché, già da prima del Covid, al centro fitness si accedeva solo su appuntamento, «ma siamo stati equiparati alle altre attività, senza neppure un controllo», spiega la titolare. Si dice «ottimista», Claudio Nasini. 


L’organizzazione
«Arrivati a questo punto, l’importante è riaprire», dice il gestore della palestra Atraining di Monte Urano. «La gente – aggiunge – ha voglia di ricominciare. Ci bombarda di richieste. Penso che riprenderemo nel migliore dei modi». Nel frattempo, lui s’è organizzato. Ha affittato un terreno all’aperto dove tiene i corsi. In palestra, tra un attrezzo e l’altro, ha messo tre metri, invece dei due dell’ultimo protocollo. Il terreno all’aperto l’ha fermato anche per l’inverno. Se le cose si rimettessero male e, all’orizzonte, si prospettassero nuove chiusure, le lezioni le farebbe sotto un gazebo. «Ci prepariamo allo scenario peggiore – spiega –, sperando che non sia necessario».

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