Fermo, Nazzareno ha sconfitto il mostro Covid: «mese d'inferno, quando sono guarito ho pianto»

Fermo, Nazzareno ha sconfitto il mostro Covid: «mese d'inferno, quando sono guarito ho pianto»
Fermo, Nazzareno ha sconfitto il mostro Covid: «mese d'inferno, quando sono guarito ho pianto»
di Paolo Gaudenzi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 9 Aprile 2020, 11:02

MONTEGRANARO-  Un incubo durato circa un mese e, fortunatamente, dopo un picco di massima caratterizzato da dolore e smarrimento, il lieto epilogo. Nazzareno Felicetti, artigiano calzaturiero di 55 anni, ce l’ha fatta, ha lasciato l’ospedale Murri martedì scorso gettandosi così alle spalle la triste pagina del Coronavirus.

LEGGI ANCHE:
Coronavirus, tornano a scendere i nuovi positivi: sono 96 in un giorno. Il totale sale a 4.995

L'infermiera guerriera: «Il regalo di compleanno? Un paziente che è uscito»

Felicetti, quando ha saputo di essere positivo al tampone come ha reagito?
«Ero preparato. Immaginavo di esserlo già prima di avere il riscontro effettivo, considerando i sintomi manifestati poco prima di metà marzo. Me l’aspettavo ma non mi sono dato per vinto, partendo con il bicchiere mezzo pieno e quanto più ottimismo possibile. Era l’unica cosa da fare».
 
Quali sono stati i momenti più difficili ?
«All’incalzare della patologia, quando ero a casa ma avevo bisogno di assistenza ospedaliera e la prassi burocratica, fatta di articolate tappe divise tra visite domiciliari del medico di base da trasmettere alla centrale del 118, i soccorsi rallentavano. Alla fine il buon senso ha prevalso, non c’era tempo da perdere e tutti si sono prodigati per il mio trasporto al Murri».
Poi l’arrivo all’ospedale: una sorta di approdo in trincea a ridosso dell’implacabile fuoco nemico?
«Senza ombra di dubbio. E’ stata la pagina più scura di tutta la mia vita. Ho transitato all’area Covid del triage monitorato su una barella e li per un paio di giorni ho visto uno scenario di guerra che coinvolgeva, senza divisioni e sconti di sorta, pazienti e sanitari. Il personale si dimenava classificando caso per caso, cercando di fare il massimo per tutti noi nonostante le poche risorse, a partire dagli spazi logistici risicati, sottodimensionate dall’onda crescente dei numeri in arrivo e, non si dimentichi, cercando di fare il tutto con le massime accortezze per evitare contagi e quindi l’espandersi della già grave epidemia».
Quando c’è stata la svola?
«La svolta c’è stata quando mi hanno spostato al reparto di malattie infettive. Dall’accettazione per il mio caso regnava l’incertezza. Ero assalito, oltre che dalla patologia che incombeva minacciosa, anche da tanti grigi pensieri, alimentati da quello che succedeva, ora dopo ora, a dottori e pazienti, specialmente per gli anziani Covid in netta difficoltà. Naturalmente sono state scene e problemi affrontati, per ovvi motivi, senza la presenza e l’assistenza familiare al fianco. Dopo due giorni e una notte da inferno, visto che era tecnicamente impossibile farmi ritornare a casa date le mie condizioni, si è liberato un postoi e sono stato ricoverato ai piani superiori del nosocomio. Da lì in poi la discesa».
Tutta Italia elogia il personale medico e sanitario impegnato in prima linea e il Murri non fa eccezione. Concorda con tali valutazioni?
«Dal primo inserviente che mi ha accolto con una bottiglia d’acqua al primario che mi ha accompagnato all’ambulanza per tornare a casa...concordo in pieno. Il fattore umano è stato fondamentale, alla pari delle competenze tecniche.

Non dimenticherò mai le lacrime di un’infermiera che ha pianto con me quando ho saputo di essere guarito».

© RIPRODUZIONE RISERVATA