Il piano strategico che va allestito per dare senso a Next Generation

Il piano strategico che va allestito per dare senso a Next Generation

di Sauro Longhi
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Lunedì 19 Aprile 2021, 10:30

In Miseria e Nobiltà, viene chiesto a Totò di lasciare in pegno al pizzicagnolo il soprabito di Pasquale, come se fosse il paltò di Napoleone, per comprare cibo e due litri di Gragnano frizzante, ricordate: «Se frizzante lo pigli sennò desisti». Non vorrei che il programma nazionale di ripartenza e resilienza diventasse come il soprabito di Pasquale. I fondi che l’Europa ha promesso di concedere all’Italia all’interno del programma NextGenerationEU sono tanti, oltre 210 miliardi, ma non sono sicuramente sufficienti per curare tutti i mali di cui soffre il paese, dai ritardi negli investimenti su infrastrutture e sanità, alla lentezza della pubblica amministrazione e della giustizia, alla perdita di competitività dei nostri settori produttivi, al mancato rinnovamento della scuola e dei percorsi di istruzione. Non voglio essere frainteso. Il progetto per la ripartenza che si accinge a presentare il Governo è fondamentale ma da solo non basterà. Può individuare linee e strategie di sviluppo attraverso specifici finanziamenti, come il potenziamento della rete ferroviaria, ma poi questi progetti dovranno essere di indirizzo per ripensare il nostro modello sociale ed economico. Se si potenzia la rete ferroviaria si dovrà rivedere il modello dei trasporti di persone e cose, riportando centralità al trasporto pubblico che dovrà essere prevalentemente elettrico con l’introduzione di strutture logistiche e intermodali, per facilitare l’interscambio tra i diversi sistemi di trasporto. Questa è la sfida che abbiamo di fronte. L’investimento sull’infrastruttura digitale, mi auguro porterà fibra ottica in ogni casa, laboratorio e fabbrica, ma poi sarà necessario far correre servizi e produzioni che utilizzano questa moderna infrastruttura. Per le aree interne e periferiche del Paese, questa sarà una opportunità concreta, senza precedenti, da non lasciar cadere. Occorre immaginare, dare spazio alla creatività, andare oltre il singolo finanziamento. Per le aree interne il ruolo della conoscenza ha un valore ancora più importante e in questo le scuola e le università dovranno contribuire alimentando idee, costruendo laboratori, dando spazio all’innovazione e alla creatività che potrebbe correre sull’infrastruttura digitale, solo se questa avrà adeguate capacità e velocità di comunicazione. Quindi l’investimento per un’adeguata infrastruttura digitale ci deve essere, ma poi occorre creare sinergie con i vari stakeholder per servizi e prodotti innovativi. Per dar spazio a queste prospettive, le amministrazioni locali hanno un ruolo fondamentale, dato che il 60% dell’intero finanziamento europeo verrà investito dalle amministrazioni territoriali. Queste risorse non dovranno disperdersi ma, in sinergia con i grandi investimenti nazionali, produrre occasioni concrete di ripartenza e sviluppo. Può sembrare tutto molto difficile e forse lo è, ma il programma di ripartenza oltre che contenere grandi progetti sulle infrastrutture capaci di rispettare i vincoli imposti dalla Commissione Europea, deve proporre una visione, un obiettivo di lungo respiro per trainare la rinascita del Paese.

Un disegno da cui partire per definire le azioni dei prossimi anni, per non tornare come prima ma favorire linee di sviluppo inequivocabili per creare condizioni migliori di quelle che abbiamo lasciato. Se l’obiettivo rimane quello di ritornare come prima, penso che presto avremo da pentircene. Il rispetto dell’ambiente deve rimanere uno tra gli obiettivi principali, non possiamo più consumare risorse naturali, distruggere le biodiversità, bruciare energia. Nella transizione ecologica, che il Governo si appresta a gestire, una parte significativa riguarderà l’energia che non dovrà più essere di sola natura fossile, ma prevalentemente da fonti rinnovabili con un incremento del risparmio energetico. Queste scelte dovranno incentivare azioni per adeguare i prodotti e i sistemi di produzione. Gli stessi spazi destinati ai siti produttivi dovranno adeguarsi per risparmiare energia, così come le nostre abitazioni e gli spazi di vita. In questo le amministrazioni territoriali tornano ad avere un ruolo centrale nel proporre incentivazioni per favorire queste transizioni. Gli investimenti infrastrutturali da soli non bastano, occorre ritornare, come ha ricordato su queste colonne il collega Donato Iacobucci, a credere nelle proprie idee, a realizzarle, a intraprendere una attività o una impresa, magari sfruttando i diversi investimenti del programma di ripartenza per proporre reali transizioni ecologiche e digitali. Ancora più importante per le Marche, una tra le regioni europee a più alta percentuale di imprenditorialità, un modello studiato e analizzato negli anni che sembra andato in crisi. Sicuramente le condizioni congiunturali e l’apertura dei mercati globali hanno reso questo sempre più difficile, non bastano più le idee, occorre avere le conoscenze e le competenze per valorizzarle e renderle competitive. Se come analizzato dal collega Marco Cucculelli sulle pagine economiche del Corriere della Sera della scorsa settimana, nelle Marche emerge una apprezzabile dinamicità su settori innovativi e tecnologicamente avanzati, si dovranno proporre azioni per favorirne ulteriormente la crescita. Sicuramente incentivando ricerca e sviluppo e la voglia di intraprendere di molti giovani. Molti laureati dei nostri atenei hanno intrapreso questa strada, dopo aver seguito attività formative di supporto all’imprenditorialità nei Contamination Lab, strutture aperte e collaborative per insegnare ai più giovani a diventare imprenditori. Se non vogliamo disperdere questa ultima opportunità offerta dai finanziamenti europei, il governo dovrebbe accompagnare il piano con una strategia generale e una visione di lungo respiro capace di favore azioni di intraprendenza sociale, culturale ed economica per un reale cambiamento, perché nulla dovrà essere come prima, altrimenti continueremo come Totò a “desistere” perché in mano non avremo il paltò di Napoleone ma solo quello di Pasquale! 


*Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Facoltà di Ingegneria Università Politecnica 
delle Marche


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