C'è un’intenzione non dichiarata, quasi un piano sommerso, che emerge nei dibattiti che si sovrappongono in queste settimane nelle segreterie di partito a proposito delle elezioni nella Capitale: che la corsa elettorale di ottobre serva a misurare le forze in campo per una contesa più importante, quella delle Politiche che verranno.
Questo tipo di valutazione, e il conseguente approntamento delle liste di candidati e delle strategie per la campagna elettorale che sta per cominciare, rischia di fare passare in secondo piano gli interessi di Roma, che aspira ad un sindaco in grado di mettere davvero le mani nel motore bloccato della città e, con le maniche arrotolate ai gomiti, di farlo ripartire.
E allora vale la pena tratteggiare quale dovrebbe essere il profilo del primo cittadino che verrà, dal momento che - sempre di più - sembra che le scelte sui candidati tengano conto soprattutto della possibilità di successo a prescindere dalle effettive capacità amministrative. E per capire quale potrebbe essere l’inquilino ideale del Campidoglio occorre mettere a fuoco la sua missione. Che su queste colonne è stata ripetuta già molte volte.
La città è caduta come un cavallo di razza inciampato sull’ostacolo. È a terra, circondata da persone che stanno cercando di capire cosa possono portarle via in questo momento di debolezza. La ricchezza di Roma è fatta anche di eventi artistici e sportivi, di sedi istituzionali, di tradizioni, di appuntamenti internazionali economici e politici; e in un momento di oggettiva debacle è più facile sfilare pezzo per pezzo questo patrimonio alla Capitale. Ecco la prima missione per il nuovo sindaco: indossare la divisa del veterinario e rimettere in piedi il purosangue ferito. Significa intervenire sui servizi, sui disagi, sulle sconcezze nel settore dei rifiuti, dei trasporti, della viabilità, che hanno portato Roma giù nelle classifiche mondiali sulla vivibilità delle metropoli del mondo. Ma non è tutto.
Ci sono due gare importanti che la Capitale deve disputare e vincere: il Giubileo del 2025 e il Bimillenario della Crocifissione di Cristo, nel 2033. Sono eventi che possono far tornare Roma ai fasti del passato e trasferire ricchezza all’intero Paese. Le aspettative sono state ben tratteggiate dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, in una recente intervista a questo giornale: «Roma è essenziale per trainare anche il Mezzogiorno, qui si gioca una partita per il futuro del Paese». Dunque Roma deve puntare alla grande performance, deve stupire, deve tornare ad essere quella Caput Mundi tratteggiata da Anneo Lucano in una delle sue opere.
Le sorti di questa partita decisiva, dunque, non potranno che essere affidate ad una persona capace, che conosca le regole del gioco e le strategie vincenti, che abbia visione e mentalità competitiva e - soprattutto - che sia già stato trionfatore in competizioni importanti.
Perché è questa la qualità principale che deve avere il candidato ideale alla poltrona di sindaco: una esperienza specifica in amministrazione.
Non ci possiamo permettere esperimenti, laboratori politici, tentativi al buio. La preferenza ispirata al “proviamo la novità” si è dimostrata nel (recente) passato una scelta fallimentare. Ecco perché non è più tempo per il dilettantismo: i romani devono poter scegliere in una rosa di candidati che hanno un passato che racconti come hanno amministrato in precedenza le realtà a loro affidate. Che abbiano dimostrato di operare nell’interesse esclusivo dei loro concittadini, anche in contrasto con le segreterie di partito di cui sono espressione e comunque rimanendo svincolati dalle correnti politiche che ancora oggi pretendono di orientare la politica cittadina secondo logiche anacronistiche. Si tratta, insomma, di indossare una divisa prestigiosa, che non tutti sono in grado di portare.