di Carlo Nordio
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Martedì 15 Dicembre 2020, 00:10

Allarmato dall’andamento dei contagi, e spronato dall’impulso emulativo di Angela Merkel che domani, 16 dicembre - anniversario della nascita di Beethoven e della battaglia delle Ardenne - chiuderà tutto il Paese, il nostro governo si accinge, a quanto sembra, ad emanare nuove restrizioni per le feste di Natale. La colpa, par di capire, è dell’invasione di strade e negozi cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni.

Con la differenza che mentre la Merkel, con raziocinio e polso teutonici, pronuncia dei diktat rari, chiari e decisi, Conte procede con quell’andamento a fisarmonica detto più elegantemente bustrofedico o rongorongo, che rappresenta il va e vieni del bove con l’aratro, e che si usava nelle antiche salmodie religiose. Secondo il governo la ragione di questi continui adattamenti risiederebbe nell’indisciplinata condotta dei cittadini che non rispettano le regole. Forse dovrebbe domandarsi se non sia in gran parte anche colpa sua. Questa colpa consiste nell’avere stracciato quel principio fondante di ogni stato democratico, che si chiama certezza del diritto. La certezza del diritto non è un concetto dogmatico di astrazione speculativa. E’, nella sua accezione più lata, una sorta di software che abbiamo dentro di noi, e che Platone chiamava idee innate.

È un principio che si apprende fin da piccoli, e che consiste nella consapevole relazione tra il precetto, il comportamento e le conseguenze che ne derivano. Ad esempio, la mamma può anche permettere che il figlioletto vada a saccheggiare i barattoli della dispensa, in base al principio dell’autoeducazione spontanea. Ma se decide di impedirlo, deve fare tre cose: spiegare chiaramente al pargolo che non può rubare la marmellata, minacciargli una punizione se infrange il divieto e applicarla in caso di disubbidienza.


I tre elementi sono coevi e consustanziali, perché una regola infranta senza conseguenze mina l’autorità familiare, disorienta il bambino e lo fa crescere temerario e silvestre. Infine, la sanzione, oltre ad esser immediata, dev’essere misurata, proporzionata e comprensibile. Lo stesso, in modo più maestoso, accade nel diritto penale, dove il giudizio finale è proprio quello dell’imputato: se il giudice è stato troppo debole, lo disprezza; se è stato troppo severo, lo odia; se è stato giusto, lo rispetta e magari lo onora. Per sapere queste cose non occorre aver studiato Kelsen, Carnelutti o Capograssi. Ogni persona di buon senso le capisce da sé. 
Cosa ha fatto invece il governo in questi ultimi mesi? E’ intervenuto di imperio con provvedimenti oscuri come le notti in cui sono stai adottati - “vi ac clam” direbbero gli antichi romani - spesso ambigui e contraddittori tra loro.

Come quello del divieto di transito intercomunale, in un territorio in cui spesso la porta d’ingresso è in un comune e il cancello per la macchina dà sulla strada di uno diverso. O come quello che considera possibile il pranzo, ma pericolosa la cena. 


E infine l’ultimo, il cosiddetto cashback, inteso come restituzione di parte delle somme spese in modo tracciabile, con lo scopo di incoraggiare i consumi. Già. Ma se si incoraggiano i consumi, è prevedibile che la gente nel periodo prenatalizio si precipiti nei negozi. E qui l’incertezza raggiunge il paradosso. Questi esercizi, nella stragrande maggioranza, si erano tempestivamente adeguati alle precedenti disposizioni con aggravio di spese ed energie: hanno sanificato, distanziato e ristrutturato botteghe e ristoranti, e i gestori spesso si sono dovuti sostituire allo Stato come gendarmi della legalità. Tutte cose buone e giuste, o comunque necessarie. Ed ora arriva il contrordine: abbiamo scherzato, si chiude. 


Vogliamo la riprova di questa schizofrenia? Basta guardare le sanzioni. Queste sono state relativamente poche, anzi pochissime rispetto all’allarme lanciato dal governo. Ora, delle due l’una. O queste non erano dovute, perché quasi tutti hanno rispettato le regole. E allora vuol dire che queste erano sbagliate, o erano insufficienti a prevenire i contagi. Oppure non si è riusciti ad applicarle, ed allora lo Stato si è dimostrato riluttante ed imbelle, come la mamma indulgente con il bambino capriccioso, e quindi ha perso, e continua a perdere, autorevolezza e credibilità. 


In entrambi i casi, il cittadino è disorientato, sfiduciato e irritato. Questi sentimenti negativi potrebbero tradursi in rassegnazione apatica, e questo minerebbe dalle fondamenta una possibile ripresa. Oppure potrebbero convertirsi in protesta collettiva, magari non violenta, ma comunque visibile. E questa sarebbe una catastrofe. L’unico rimedio, è un protocollo di regole chiare, omogenee e soprattutto razionali. Ma la necessità di tenere in piedi una coalizione così precaria segue delle ragioni che la ragione non conosce. 
 

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