Consensi facili/I populismi d’Italia così lontani dalle riforme

Consensi facili/I populismi d’Italia così lontani dalle riforme

di Alessandro Campi
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Venerdì 28 Maggio 2021, 23:56 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 23:26

L’idea – consolante per chi la sostiene essendone anche sinceramente convinto – è che i populisti, cioè i cattivi e inaffidabili, siano sempre gli altri. In realtà, per parafrasare Forrest Gump, «populista è chi il populista fa». E nell’Italia di oggi, purtroppo, il populismo – cioè la tendenza a buttarla in propaganda con la speranza di raccattare consensi facili – è trasversale e di nessun partito può dirsi che ne abbia la poco invidiabile esclusiva.


Ad esempio, quale differenza esiste tra la proposta salviniana di introdurre un sistema fiscale basato sulla flax tax (vale a dire su un’aliquota fissa, non progressiva) e quella lettiana di aumentare le tasse di successione sui grandi patrimoni per dare un sostegno economico ai giovani e favorire così il loro ingresso sul mercato del lavoro?
Dal punto di vista della teoria economica si tratta di due posizioni entrambe ragionevoli, che vantano non a caso estimatori entusiasti e critici risoluti. Ma allora perché la prima sarebbe, come si dice, la sparata di un propagandista senza cultura di governo, che nemmeno vale la pena discutere, e la seconda una proposta certamente forte, sul piano politico, ma frutto di un ragionamento ponderato e di una attenta valutazione dei problemi che affliggono la società italiana?

Non sarà che entrambi, Salvini e Letta, pur avendo scelto di far parte della stessa maggioranza a sostegno del governo presieduto da Mario Draghi, sono più preoccupati di mandare messaggi ai loro elettori che di fare proposte che abbiano anche la minima possibilità di tradursi in qualcosa di concreto? Nel patto che i partiti hanno stretto tra di loro al momento di far nascere l’attuale esecutivo non si parlava né di flat tax né di tasse di successione. Erano altre le priorità fissate nell’agenda comune. E allora perché insistere? 


Intendiamoci, ai partiti non può essere impedito di avanzare proposte e idee, a misura della propria visione della società e dell’economia. Nemmeno si può azzerare la normale dialettica politica solo perché le circostanze drammatiche – la pandemia e gli effetti che essa ha prodotto sulla società a ogni livello – ci hanno costretti al varo di un anomalo governo di unità o salvezza nazionale. Persino le punzecchiature tra leader, in un sistema politico governato dalla comunicazione e dal personalismo, fanno parte del gioco (purché ovviamente non siano quotidiane).


Il problema nasce quando i partiti, pur di distinguersi ad ogni costo dai loro non sempre graditi compagni in quest’avventura, nella speranza di raccattare consensi e apprezzamenti con poca fatica, ovvero perché convinti che assecondare i propri elettori sia più importante che contribuire al bene comune in modo responsabile (come sarebbe necessario e auspicabile in una fase critica per il Paese come l’attuale), scelgono la strada delle battaglie identitarie e di principio.

Che è esattamente quello che sta accadendo.


Da quando ci si è convinti che il peggio – in termini sanitari, economici e sociali – stia per passare, che insomma l’emergenza che ha fatto nascere l’attuale governo sia sul punto di finire, senza contare quell’autentica manna dal cielo rappresentata dai soldi che arriveranno dall’Europa, la tensione (forse anche la paura) che aveva spinto i partiti a fare quadrato intorno alla proposta del Capo dello Stato di un esecutivo di larghe intese sembra anch’essa venuta meno. Come se gli impegni presi a suo tempo fossero stati già tutti assolti. Senza considerare che il difficile, in realtà, viene proprio adesso, come Draghi non si stanca di spiegare ai partiti che lo sostengono, ai suoi ministri e agli italiani tutti.


Insomma, per i partiti non è ancora il tempo della propaganda, delle promesse facili, delle rivendicazioni politiche in nome dell’ideologia (di quel che ne rimane), del populismo a buon mercato (salvo appunto pensare che populisti e faciloni siano solo gli avversari). Semmai sarebbe necessario, proprio in questo momento, un sovrappiù di senso di responsabilità, di spirito di collaborazione, di capacità progettuale ma riferita ai problemi concreti che dovremo nei prossimi mesi affrontare e risolvere. A partire dalle tante (forse troppe, visto il poco tempo a disposizione per realizzarle) riforme strutturali richiesteci dall’Europa come necessaria premessa per impiegare al meglio i cospicui fondi previsti dal Next Generation EU.


Ecco, perché i partiti, se proprio vogliono farsi valere e apprezzare dagli elettori, se proprio vogliono distinguersi, non ci fanno sapere quali sono le loro proposte – concrete, analitiche, realistiche – in materia di giustizia (la riforma delle riforme secondo alcuni, ma ancora del tutto ferma), di fisco, di riorganizzazione della macchina burocratica, di mercato del lavoro, di sostenibilità ambientale, di semplificazione amministrativa, di riduzione degli sprechi della finanza pubblica, di rilancio del Mezzogiorno, di lotta alle diseguaglianze sociali, di innovazione scientifica, di riprogettazione delle reti infrastrutturali (a partire dai trasporti) ecc.? 
Proposte, non slogan o formulette buone al massimo per qualche intervista. Sempre che non abbiano deciso che a queste cose un po’ troppo tecniche debba pensarci Draghi (in fondo lo abbiamo messo lì per questo), mentre loro si preoccupano solo di tenere alto il morale delle rispettive truppe.

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