Nella prima conferenza stampa Mario Draghi ha detto una frase che abbiamo accolto con sollievo: «Ora è il momento di dare soldi agli italiani, senza vincoli». Però c’è l’altra faccia della medaglia non detta che ci deve preoccupare: «Poi arriverà il momento di restituire quanto ricevuto a debito». Vorrei proporvi alcune riflessioni in merito. Vorrei mettere in guardia da non attenderci il salvatore della patria, una tentazione di fuggire dalle nostre responsabilità alla quale siamo inclini, come la storia insegna. Facili entusiasmi, che creano successive crisi di rigetto, i cui semi sono già all’opera. Meglio cercare di capire cosa può fare il governo e cosa dobbiamo fare noi: con una sana distribuzione di responsabilità. L’alta reputazione di Draghi viene dalla sua presidenza della BCE. Ma ci dobbiamo chiedere fino a che punto questa reputazione sia spendibile alla guida del governo italiano. Partiamo dalla diversità tra politica monetaria e politica fiscale, che sono i due cardini della politica economica. La politica monetaria è libera nella scelta degli strumenti e di come dosarli (quantità e tempi). Per questo non subisce ritardi decisionali. La sua autonomia comporta un ben noto deficit democratico, che è stato contenuto limitando il potere della BCE a un solo obiettivo prioritario: la stabilità dei prezzi. Al contrario, la politica fiscale (tassazione, spesa pubblica) implica il rispetto di limiti costituzionali nella scelta degli strumenti, sottoposta all’approvazione del parlamento. Una conquista da difendere, che soddisfa il principio democratico, ma che comporta ritardi e incertezze decisionali. Rallentamenti che sono maggiori quanto più il parlamento è frammentato e prevale la ricerca miope del consenso elettorale. Quindi la gestione della politica fiscale richiede la fatica della ricerca del compromesso per la sopravvivenza di governi instabili. A fronte di questi limiti, la politica fiscale offre il vantaggio di spaziare su più obiettivi. Senonché il ventaglio di obiettivi italiani che Draghi deve gestire si è ampliato per l’accumulo di problemi irrisolti negli ultimi decenni: riforme mancate, squilibri territoriali, generazionali, di genere e di reddito. Sul piano fiscale: evasioni da combattere e sperperi da contenere, con il risultato di un debito pubblico che non smette di crescere. Il tutto aggravato dalla crisi pandemica, che ha fermato l’economia e indotto il governo a spendere e indebitarsi di più. Non che in BCE Draghi abbia avuto vita facile, sotto attacco della Bundesbank (la banca centrale tedesca) e della speculazione anti-euro. Ne è uscito bene dando seguito alla sua frase: «Faremo tutto il possibile e credetemi sarà sufficiente». Nel proseguo del suo intervento paragonò l’euro al bombo (un tipo di calabrone dal corpo pesante e piccole ali, che comunque riesce a volare). Una immagine emblematica che già Giacomo Becattini aveva usato per il calabrone-Italia, che nonostante tutti i suoi appesantimenti è sempre riuscito a volare. Siamo tutti consapevoli che la straordinaria dotazione di fondi europei è una occasione non solo per superare la crisi pandemica, ma per far riprendere slancio al Paese verso quote di crociera più elevate e stabili.
* professore emerito di Politica economica Università Politecnica delle Marche Ancona, Presidente Accademia d’Arte Lirica Osimo