Il calabrone Italia può diventare un aereo? Questa è la nostra scommessa con Draghi

Il calabrone Italia può diventare un aereo? Questa è la nostra scommessa con Draghi

di Pietro Alessandrini
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Sabato 8 Maggio 2021, 10:20

Nella prima conferenza stampa Mario Draghi ha detto una frase che abbiamo accolto con sollievo: «Ora è il momento di dare soldi agli italiani, senza vincoli». Però c’è l’altra faccia della medaglia non detta che ci deve preoccupare: «Poi arriverà il momento di restituire quanto ricevuto a debito». Vorrei proporvi alcune riflessioni in merito. Vorrei mettere in guardia da non attenderci il salvatore della patria, una tentazione di fuggire dalle nostre responsabilità alla quale siamo inclini, come la storia insegna. Facili entusiasmi, che creano successive crisi di rigetto, i cui semi sono già all’opera. Meglio cercare di capire cosa può fare il governo e cosa dobbiamo fare noi: con una sana distribuzione di responsabilità. L’alta reputazione di Draghi viene dalla sua presidenza della BCE. Ma ci dobbiamo chiedere fino a che punto questa reputazione sia spendibile alla guida del governo italiano. Partiamo dalla diversità tra politica monetaria e politica fiscale, che sono i due cardini della politica economica. La politica monetaria è libera nella scelta degli strumenti e di come dosarli (quantità e tempi). Per questo non subisce ritardi decisionali. La sua autonomia comporta un ben noto deficit democratico, che è stato contenuto limitando il potere della BCE a un solo obiettivo prioritario: la stabilità dei prezzi. Al contrario, la politica fiscale (tassazione, spesa pubblica) implica il rispetto di limiti costituzionali nella scelta degli strumenti, sottoposta all’approvazione del parlamento. Una conquista da difendere, che soddisfa il principio democratico, ma che comporta ritardi e incertezze decisionali. Rallentamenti che sono maggiori quanto più il parlamento è frammentato e prevale la ricerca miope del consenso elettorale. Quindi la gestione della politica fiscale richiede la fatica della ricerca del compromesso per la sopravvivenza di governi instabili. A fronte di questi limiti, la politica fiscale offre il vantaggio di spaziare su più obiettivi. Senonché il ventaglio di obiettivi italiani che Draghi deve gestire si è ampliato per l’accumulo di problemi irrisolti negli ultimi decenni: riforme mancate, squilibri territoriali, generazionali, di genere e di reddito. Sul piano fiscale: evasioni da combattere e sperperi da contenere, con il risultato di un debito pubblico che non smette di crescere. Il tutto aggravato dalla crisi pandemica, che ha fermato l’economia e indotto il governo a spendere e indebitarsi di più. Non che in BCE Draghi abbia avuto vita facile, sotto attacco della Bundesbank (la banca centrale tedesca) e della speculazione anti-euro. Ne è uscito bene dando seguito alla sua frase: «Faremo tutto il possibile e credetemi sarà sufficiente». Nel proseguo del suo intervento paragonò l’euro al bombo (un tipo di calabrone dal corpo pesante e piccole ali, che comunque riesce a volare). Una immagine emblematica che già Giacomo Becattini aveva usato per il calabrone-Italia, che nonostante tutti i suoi appesantimenti è sempre riuscito a volare. Siamo tutti consapevoli che la straordinaria dotazione di fondi europei è una occasione non solo per superare la crisi pandemica, ma per far riprendere slancio al Paese verso quote di crociera più elevate e stabili.

Però a condizione che il calabrone diventi un aereo moderno e sicuro. Non è tanto questione di cosa fare. L’elenco del nostro PNRR approvato dal Parlamento e presentato alla UE è lungo. Conta soprattutto come farlo. La strettoia da superare sono i nodi critici delle riforme della giustizia, del fisco e della Pubblica amministrazione. Terreni minati che nessun governo è riuscito ad affrontare. Sulle riforme prioritarie, Draghi ha chiesto e ottenuto la fiducia della UE, spendendo la propria credibilità. Fiducia che siamo chiamati a ricambiare, con assunzione individuale e collettiva di responsabilità. Anche perché superata la immediata necessità di spendere il più possibile, come cura di pronto intervento, dobbiamo volgere l’attenzione all’altra faccia della medaglia: il cumulo di debiti da ripagare. Se non basteranno i richiami ai più alti valori civili, si dovrà per forza ricorrere a un bagno di concreto realismo, ricordando le soluzioni drastiche di rientro dal debito che in mancanza potremmo dover subire. Quali: la necessità di imporre nuove tasse o di riaccendere il fuoco dell’inflazione, la tassa più iniqua che ridurrebbe il valore reale dei nostri risparmi in titoli di stato, oppure di arrivare al consolidamento del debito pubblico, che vuol dire allontanare nel tempo il rimborso dei titoli. Interventi chirurgici che Draghi conosce bene, ma che ha preferito non utilizzare come prospettiva da far temere. Abituata come banchiere centrale a investire nella forza della fiducia, ha scommesso in positivo sulla fiducia di ripagare il debito con la ripresa dello sviluppo fondato su investimenti di innovazione e di equilibrio territoriale, sociale e ambientale. Se, come viene ripetuto, siamo davanti a scelte difficili, come in tempo di guerra e ricostruzione, conviene meditare sull’attualità di questa affermazione di Churchill alla guida del suo paese nella seconda guerra mondiale: «Noi abbiamo un Governo di coalizione nazionale, formatosi per trarre la Nazione dall’oscura situazione in cui l’attività, o la mancata attività di tutti i partiti politici per molti anni, l’aveva cacciata. Quello che ci tiene insieme è la continuazione della guerra. A nessun socialista o liberale o sindacalista è stato mai chiesto in alcun modo di rinunciare alle sue convinzioni politiche. Questo sarebbe indegno e ingiusto. Noi siamo tenuti insieme da qualcosa di esterno, che assorbe tutta la nostra attenzione». Se in analogia pensiamo al nostro attuale governo di coalizione, mi viene da dire che Draghi «farà tutto il possibile, ma temo non sarà sufficiente». Basti pensare a un partito che nello stesso tempo si professa di coalizione e di opposizione e a un Parlamento che una volta l’anno deve approvare un decreto chiamato “mille proroghe”, per capire che da solo non potrà farcela. Nel bene o nel male, la responsabilità sarà solo nostra.


* professore emerito di Politica economica Università Politecnica delle Marche Ancona, Presidente Accademia d’Arte Lirica Osimo

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