Lonely Planet. Incoraggiamento, orgoglio, concretezza C’è uno spiraglio di luce per le Marche

Incoraggiamento, orgoglio, concretezza. C’è uno spiraglio di luce per le Marche

di Pietro Alessandrini
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Lunedì 28 Ottobre 2019, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 11:06
La buona notizia di Lonely Planet che classifica le Marche al secondo posto tra le dieci regioni al mondo da visitare nel 2020 mi stimola a fare tre considerazioni, che sintetizzo in: incoraggiamento, orgoglio, concretezza. L’incoraggiamento viene da uno spiraglio di luce sul protrarsi della crisi, che ha mostrato la preoccupante fragilità del nostro sistema manifatturiero. Ce l’hanno detto in tutte le salse: convegni, analisi, rapporti. Non si può non concordare. Vengono additati i soliti responsabili: bassa produttività, ritardo tecnologico, piccole dimensioni delle imprese. Mi limito ad osservare, ripetendomi, che bisogna però evitare semplificazioni fuorvianti. In economia è bello ciò che è funzionale allo sviluppo economico del territorio. Grandi o piccole che siano le imprese. Loro funzionalità va contestualizzata ed è sottoposta a progressiva evoluzione. Lo dimostra l’incessante rivoluzione digitale che mette in discussione le dimensioni delle strutture produttive e distributive che contano e conteranno in futuro. In questo quadro possono entrare in crisi irreversibile sia le grandi sia le piccole imprese.
Con la differenza che le crisi delle grandi imprese provocano pesanti conseguenze di desertificazione occupazionale e territoriale e facilmente gravano sulla spesa pubblica. La crisi della J.P.Industries di Fabriano con 700 dipendenti, commentata da Donato Iacobucci mercoledì sul Corriere Adriatico, è un esempio (non l’unico) che va purtroppo in questa direzione. La naturale fragilità strutturale delle piccole imprese è altrettanto preoccupante, ma con minori conseguenze. Se non altro perché ci sono tanti piccoli imprenditori che continuano a intraprendere, spostandosi per prossimità su altre specializzazioni.
Fin troppo ovvio che il sistema produttivo ideale dovrebbe essere composto da un insieme efficiente di numerose piccole imprese, alimentate da spin-off innovativi, con una buona dose di eccellenti medie imprese e con alcune grandi imprese trainanti. Ma a questo punto il vero problema dimensionale si sposta a livello dei territori ottimali che vanno ben oltre lo spazio regionale. L’Europa può essere piccola per le catene del valore nelle quali si inseriscono le stesse nostre piccole imprese. E sono piccole le nostre regioni a livello amministrativo. Purtroppo il problema delle aggregazioni regionali posto dalla Ue per raggiungere una dimensione media di 6 milioni di abitanti (4 volte più dei marchigiani) viene colpevolmente accantonato. Al costo dell’inefficienza amministrativa che penalizza tutti, imprese e cittadini. Come è stato sottolineato nel recente convegno promosso dalle Fondazioni Marche e Merloni. La soddisfazione di vedere le Marche riconosciute per valori turistici è quindi uno spiraglio di luce che riporta al centro la nostra regione, a fronte del ridimensionamento periferico nel quale sembra collocarla l’evoluzione manifatturiera.

Vengo così alla seconda considerazione: l’orgoglio. Non possiamo che rallegrarci di questo riconoscimento internazionale, che tra l’altro espressamente accomuna le Marche alla Toscana. Cioè alla regione italiana che da secoli è considerata al più alto livello della qualità dall’opinione pubblica mondiale. La nostra regione è uscita da una cronica arretratezza grazie allo sviluppo endogeno che è stato meno sostenuto rispetto alle regioni limitrofe. Ma con il vantaggio di essere stato meno dirompente sugli equilibri sociali e ambientali. Una regione la nostra dove c’è stato più benessere che reddito. Una migliore qualità della vita, fino a pochi decenni fa conosciuta solo dai marchigiani. E quasi gelosamente custodita tra di noi. Qualità che si apprezza a fondo soltanto soggiornando nelle Marche. Per questo il nostro turismo non può essere del tipo mordi e fuggi.

Ultima considerazione: concretezza. Facciamo tesoro di questo riconoscimento. Ma restiamo con i piedi per terra, perché c’è ancora molto da investire. E’ utile il confronto con le tre regioni limitrofe: Umbria, Toscana ed Emilia Romagna. Le giornate medie di presenza sono in calo ovunque. Se escludiamo il turismo balneare, che penalizzerebbe l’Umbria, le Marche sono scese dal 2007 al 2017 da 2,5 a 2,0 giornate di presenza turistica per abitante. L’Emilia Romagna registra una lieve riduzione da 2,7 a 2,6. Scendono anche da 3,5 a 2,9 in Umbria, ma restano su livelli superiori. Si distingue la Toscana per un livello superiore e crescente da 4,4 a 4,7. Che l’importanza del turismo sia più qualitativa che quantitativa lo dimostra la bassa quota percentuale di valore aggiunto regionale dovuto ai servizi alloggio e ristorazione. Nel 2016 si va dal 3,4 dell’Emilia Romagna, al 3,5 delle Marche, fino al 4,1 di Toscana e Umbria. Sono dati leggermente sottostimati perché non si tiene conto di altre componenti della spesa turistica, quali i biglietti per mostre e musei. Resta il fatto che l’importanza del turismo come motore di sviluppo risalta per i valori identitari dei territori di riferimento, che interagiscono con altri motori quali la cultura e i prodotti agro-alimentari.
Sulla importanza di questi ultimi si è soffermato il lucido articolo di Roberto Gabrielli sul Corriere Adriatico di giovedì. Inoltre nell’arco della crisi gli addetti al turismo sono aumentati in controtendenza: la quota percentuale sugli occupati totali dal 2007 al 2016 è salita dal 4,9 al 5,8 nelle Marche, dal 5,3 alo 6,1 in Umbria, dal 5,8 al 7,2 in Toscana, dal 5,2 al 6,3 in Emilia Romagna. Facciamo in modo che l’impatto del riconoscimento di Lonely Planet non si limiti al 2020 per il 500 anniversario della morte di Raffaello. Va riconosciuto che la Regione Marche ha investito sul turismo. Ma il presidente Ceriscioli ha fatto bene a condividerlo con tutti i marchigiani. Perché ci coinvolge tutti: teniamo pulite le nostre città, preserviamo il nostro ambiente. E non illudiamoci che basti. Per fortuna la concretezza è una virtù che non ci manca. 

*Professore emerito di Politica economica Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” Università Politecnica delle Marche
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