Disagio giovanile tra società evanescente e il crescente eccesso di requisiti inclusivi

Disagio giovanile tra società evanescente e il crescente eccesso di requisiti inclusivi

di Rossano Buccioni
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Martedì 28 Gennaio 2020, 10:35
Dopo numerosi momenti di approfondimento, circa un anno fa si costituiva l’osservatorio sul disagio giovanile nelle Marche. Le azioni previste nel protocollo d’intesa sono concepite per una popolazione tra i 6 e i 25 anni, riguardando la realizzazione di un sistema di osservazione, monitoraggio e studio di fenomeni complessi allo scopo di prevenire e contrastare i fattori di rischio, garantendo il miglior utilizzo delle informazioni disponibili da parte di diversi attori istituzionali. Fenomeno che si lega al difficile svolgimento del percorso maturativo, le cui difficoltà esprimono spesso una condizione caratterizzata da elementi di precarizzazione nelle scelte di vita tipiche della società “di soglia” in cui viviamo, il disagio giovanile è fonte di seri interrogativi. In passato, nei sistemi sociali ad “anima diffusa”, quelli dove la bassa complessità sociale era gestita in termini di autorità ascrittive, l’uomo non doveva costantemente adeguarsi a profonde trasformazioni imposte dalla struttura sociale. In seguito l’esperienza psichica si privatizzò, venendo meno le condizioni materiali adatte a confermare la sua matrice gruppale. Se l’esistenza psichica pubblica viene frammentata in universi emozionali privati, muta il rapporto individuo/società, con un essere umano ormai svincolato dalla matrice inconscia di gruppo. Lo psichiatra Luigi Zoja sostiene che nella modernità, esperienze psichiche profonde, ma rimosse, riemergono sottoforma di malattia e di disagio, perché una parte sempre più consistente dell’attività psichica, non essendo più condivisa con il mondo circostante, si può esprimere solo nella dimensione privata dell’individuo. Importanti caratteristiche della vita sociale entrano a far parte del modo normale di essere di ognuno di noi (competenze, abilità, stili di comportamento), anche se tali modalità comportano un costo psico-biologico sempre maggiore a carico del singolo individuo. Oggi, i parametri convenzionali di normalità riguardano quei giovani che sanno - senza traumi apparenti - vivere nei diversi sottosistemi, adeguandosi alle loro logiche, mentre le patologie sociali chiamano in causa le vicende di chi fa fatica ad adattarsi ai diversi criteri funzionali, vivendo sintomatologie frutto delle crisi del senso di continuità esistenziale. Spesso però, normale e patologico si invertono, come nella condizione “normapatica”, un malessere derivato dall’eccessivo adeguamento alle pressioni conformizzanti esterne che comprimono la libera scoperta del sé. Come sostiene il filosofo Vito Mancuso, “il potere dell’umanità sull’umanità cresce a dismisura” e l’essere umano oggi vive un drammatico dilemma: restare “gregario” (nel gregge) o diventare “egregio” (fuori dal gregge). E’ una scelta difficile che spesso siamo incapaci di operare, vivendo contro noi stessi ed accettando la disposizione oggettivante che la logica sociale determina nel suo ecosistema macchinico (dall’Internet delle cose alle “tecniche sociali”: ruolo, competenze, competizione, ecc.). Allora, i giovani soffrono sulla propria pelle le difficoltà della loro condizione, con un disagio che non è solo devianza, ma è fatica/paura di vivere dato che, venendo meno i sistemi di orientamento valoriale che consentivano di indirizzare l’azione verso modelli sociali ritenuti “umani”, si sviluppano nuove condizioni di disagio. Questo accade non perché viviamo - come si è soliti dire - in una società in crisi, ma perché la sua matrice tecno-scientifica consente alla società umana di esistere ormai solo “come” crisi, allontanandosi da orizzonti di significato traducibili in azioni dove l’umano si mostri anche immediatamente sociale. In tale quadro, la novità importante che emerge è che non ci sono più differenze significative tra giovani che esprimevano il loro disagio per mezzo di sintomi e giovani a-sintomatici che si credeva non sperimentassero condizioni di sofferenza. Ricordiamoci che la differenziazione sociale sta all’individuo come la frammentazione sta alla sua psiche. Che l’umano si scinda dal sociale ce lo testimonia la metamorfosi di un’articolazione che da sempre ha governato il rapporto individuo/società, la famiglia, che non è più in grado di fornire una socializzazione standard, spendibile nel mondo esterno. La famiglia oggi sembra specializzarsi nella socializzazione familiare, essendo competente nel far assimilare all’individuo giovane i suoi codici ed il suo lessico. Ciò accade perché ogni famiglia ormai è “sistema” senza far più parte - come accadeva in un passato recente - del sistema delle famiglie. Se alla soggettivazione degli individui fa riscontro l’atomizzazione delle famiglie, ciò vuol dire che ogni famiglia funziona a modo proprio, con la socializzazione familiare che finisce per esplicarsi famiglia per famiglia, in modo unico ed irripetibile. Il nostro sistema sociale richiede ai giovani lo sviluppo di competenze sempre più competitive da un lato, ed astratte dall’altro. Ma che la vera vita sia altrove lo testimoniano - tra gli altri - i tanti ragazzi tossicodipendenti che hanno vissuto nelle comunità e che si sono pienamente recuperati. Avendo provato sulla loro pelle il deficit di socializzazione competitiva - divenuta oggi la vera chiave inclusiva - ora esprimono forte attenzione per il mondo degli affetti e dei sentimenti, accontentandosi di un lavoro, non necessariamente gratificante, per mantenere la propria famiglia, come accadeva in epoche a minore differenziazione. Se la società è troppo differenziata, gli individui che ci vivono dentro saranno altrettanto frammentati perché dovranno riaggregare le tante competenze che li individuano in un progetto di vita forzatamente incoerente, privo di un nucleo identitario stabile. 

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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