La cronaca della vittoria annunciata del Black Friday sul Fridays for Future

La cronaca della vittoria annunciata del Black Friday sul Fridays for Future

di Rossano Buccioni
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Martedì 10 Dicembre 2019, 02:50 - Ultimo aggiornamento: 19:43
Il Black Friday, la giornata di acquisti e sconti nata in collegamento con la festa americana del Thanksgiving Day (giorno del Ringraziamento), quest’anno è stata sfidata dalla giornata di sciopero per il clima del movimento mondiale dei giovani per l’ambiente (Fridays for Future). Si sono fronteggiate due visioni diverse del mondo, quella di chi va a caccia di offerte e regali e quella di chi propone iniziative e comportamenti alternativi privilegiando il consumo consapevole. La protesta ecologista è stata sconfitta dal nuovo potente rito del consumo rappresentato dal Black Friday. Orientata alla critica morale del mercato, la protesta ambientalista tenta di leggere la dominanza economica come monopolio interpretativo della realtà dotato di una agguerrita tecnica di condizionamento dei comportamenti individuali e sociali. Sulla stessa linea, il teologo Harwey Cox, studioso degli sviluppi teologici del cristianesimo globale, considera il turbocapitalismo una nuova religione planetaria. Se la presenza di persone capaci di costruire relazioni significative intorno a noi si è molto diradata, quella degli oggetti è invece vorticosamente aumentata, provocando fenomeni inediti su cui riflettere. A livello antropologico la nota saliente è l’umanizzazione delle cose e l’oggettivazione delle persone, anche dentro sfere di azione ed esperienza perfettamente normali. Anzi, la stessa normalità oggi, può incubare patologie silenti che esplodono all’improvviso nel clima di conflitto non elaborato e di violenza normalizzata della nostra società. Sulla scia delle analisi di Walter Benjamin, che sosteneva come il capitalismo fosse una religione senza teologia, fondata esclusivamente sul culto del consumo, Cox sostiene che il mondo caduto preda della ideologia liberista dell’accumulazione e della crescita infinita, muta il mercato in una entità onnisciente ed onnipresente che determina il valore di ogni cosa e persona. Inoltre, a fronte del massiccio incremento della presenza di oggetti intorno a noi è contemporaneamente esplosa la tendenza a costruire relazioni del tutto formali, con masse anonime di persone che conosciamo solo a partire dalla funzione sociale che svolgono. Senza quella funzione attraverso la quale transitano le nostre azioni, noi quelle persone non le avremmo mai incontrate. Si tratta di relazioni evenemenziali che appena si attivano subito si spengono, tutte giocate sulla consapevolezza che al nostro posto era del tutto probabile potesse trovarsi chiunque altro. In questa consumazione incessante - quanto casuale - della pertinenza e dell’empatia (chiunquismo), produciamo prestazioni ed esibiamo continuamente credenziali identitarie esclusivamente perché in caso contrario, le operazioni di un sistema sociale andrebbero in crisi. Nulla sfugge alla dominanza del potere di mercificazione, omaggiato da dottrine zelanti e da profeti non occasionali. Tuttavia, il maggior cosmopolitismo in cui attualmente viviamo, fa riscoprire valori culturali diversi da quelli prodotti dalla nostra cultura antropocentrica rigorosamente difesa dalla società di mercato. Detto questo, in molti scoprono che un buon numero di cose può anche avere un valore affettivo infinitamente superiore a quello commerciale, nel senso di esprimere - dal centro del sistema sociale di riferimento - un modello umano di lettura della realtà a noi maggiormente congeniale. Inoltre, pur con tutte le contraddizioni dell’auto-vincolo morale che connota i movimenti di protesta (verdi e non), le forme viventi non sono oggetti di cui disporre perché in esse è come se potesse tornare ad esprimersi la nostra anima. Questo atteggiamento, che in molti considerano sentimentale e regressivo, è invece la premessa obbligata per ogni azione di tutela ambientale. Ora, a fronte di questo recupero del sentimento di appartenenza alla natura, contemporaneamente si approfondisce il ruolo sociale degli oggetti, che all’interno della nostra vita quotidiana, ricevono un crescente investimento psichico. Fra le giovani generazioni di oggi, si sta cancellando ogni minima condivisione della dimensione di utilizzo dell’oggetto perché l’investimento psichico proiettato su computer, smartphone ed oggetti alla moda, prevede il loro uso strettamente individualizzato. Se tradizionalmente i brand cercano di giocare sulla costruzione sociale del bisogno degli utenti, ricalcato su di un concetto di utilità sensibile alle sirene dello status symbol e del riconoscimento identitario, nell’offerta di irrinunciabili promozioni le strategie di marketing agiranno su livelli di bisogno che, attraverso lo specifico prodotto, attivano cospicui sentimenti di rivalsa rispetto ad una condizione di non equità subita all’interno delle gerarchie sociali. Quando la crisi economica mette al lavoro dimensioni del sé che normalmente impegniamo in sfere di esperienza diverse, le promozioni commerciali operano come delle leve psico-sociali centrate sull’occasione come momento di riequilibrio della frustrazione derivante dal sentirsi privare della forte identificazione garantita da specifiche tipologie di beni. L’occasione al prezzo giusto garantisce - specialmente a chi si trova in condizioni più svantaggiate - la scalata ad oggetti-feticcio decisivi per riequilibrare a livelli accettabili il conflitto espresso dal processo di socializzazione continua dell’essere umano. Questo immenso spostamento di proiezioni psichiche ci fa comprendere come l’amore per certi oggetti riesca in parte a sostituire quello per gli esseri umani, evidenziando una nuova modalità di costruzione delle relazioni, ispirata all’idea di utilità piuttosto che a quella di esposizione al mondo interiore dell’altro.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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