Non avevamo ancora fatto in tempo a metabolizzare le novità introdotte dal governo Draghi che siamo di fronte a nuovi cambiamenti. Una delle novità più importanti introdotte dal precedente Governo fu sicuramente la trasformazione del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (Mattm) nel Ministero della Transizione Ecologica (MiTe). La nuova denominazione aveva un profondo significato simbolico: passare da una prospettiva di tutela del territorio a un nuovo modello di sviluppo e di approccio culturale all’ambiente che ha delle radici profonde a livello internazionale.
La transizione ecologica ambisce a cambiare i nostri stili di vita per renderli armoniosi con la natura; richiede nuovi modelli di sviluppo sociale ed economico, capaci di rispondere in modo intelligente alle sfide ecologiche locali e planetarie. La transizione ecologica ci spinge a vivere e usare il territorio e il nostro mare in modo sostenibile, in modo tale da far crescere il mondo produttivo riducendo al contempo gli impatti sugli ecosistemi. Ci spinge a sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili, assicurando l’autonomia e l’indipendenza energetica a basso costo. Ci chiede di modificare i nostri consumi limitando gli sprechi inutili e la produzione di rifiuti. La transizione ecologica non offre solo una risposta economica e sociale alle sfide del nostro Paese, ma ambisce a dargli anche una maggiore competitività rispetto alle economie orientali emergenti aggressive. Lo stesso Green Deal europeo (la promessa verde dell’Europa) che parte dal presupposto di preservare e restaurare gli ecosistemi e la loro biodiversità, è sostanzialmente un modo per “fare la cosa giusta”, ma al contempo serve a impedire che le economie emergenti a basso costo e inquinanti conquistino il mercato.
Ne è un esempio il settore delle automobili dove l’Europa spinge su tecnologie che riducono sempre di più gli impatti, come l’elettrico o l’idrogeno, escludendo al contempo i paesi in via di sviluppo che non sono tecnologicamente competitivi. Nuove modalità di produzione di energia, di consumo, di costruzione delle grandi infrastrutture, di sistemi di trasporto sostenibili, e un’agricoltura sostenibile non permettono solo una crescita economica sana, ma soprattutto forniscono benefici sociali che permetteranno una crescita sociale più armoniosa a partire dall’Italia e dalla comunità europea. Per raggiungere questi obiettivi appare essenziale aumentare il valore che diamo alla protezione e al restauro degli ecosistemi naturali e rendere veramente sostenibile l’uso delle risorse naturali.
Ritengo che gli obiettivi della transizione ecologica, a prescindere dalla denominazione data al nuovo Ministero dell’Ambiente, restino un obiettivo irrinunciabile perché mettono assieme tre elementi fondamentali per il futuro del nostro Paese. Il primo è senz’altro quello di una crescita di un sistema economico e produttivo che va inevitabilmente in una direzione di maggiore sostenibilità e circolarità e che, se non adeguatamente supportato, rischia di perdere competitività. Il secondo è il legame tra salute dell’ambiente e salute dell’uomo, poiché paghiamo l’inquinamento anche in termini di costi sanitari e di aspettativa di vita; per questa ragione, un sistema produttivo che sappia coniugare qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo con una maggiore salute umana è senz’altro di interesse prioritario per il nostro Paese. Il terzo è che lo sviluppo sostenibile e la rigenerazione del capitale naturale servono a dare maggior peso ai beni comuni e a non lasciare indietro nessuno, per evitare che siano i ceti sociali meno abbienti, i più poveri, a pagare i costi più alti di una mancata transizione ecologica. Siamo parte di un sistema globale che abbiamo il dovere di comprendere e se possibile guidare, o altrimenti non ci resterà che subire i danni di una mancata transizione ecologica.
*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine