Dalla transizione ecologica passano salute e sviluppo

Dalla transizione ecologica passano salute e sviluppo

di Roberto Danovaro
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Giovedì 3 Novembre 2022, 10:15

Non avevamo ancora fatto in tempo a metabolizzare le novità introdotte dal governo Draghi che siamo di fronte a nuovi cambiamenti. Una delle novità più importanti introdotte dal precedente Governo fu sicuramente la trasformazione del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (Mattm) nel Ministero della Transizione Ecologica (MiTe). La nuova denominazione aveva un profondo significato simbolico: passare da una prospettiva di tutela del territorio a un nuovo modello di sviluppo e di approccio culturale all’ambiente che ha delle radici profonde a livello internazionale.

La transizione ecologica ambisce a cambiare i nostri stili di vita per renderli armoniosi con la natura; richiede nuovi modelli di sviluppo sociale ed economico, capaci di rispondere in modo intelligente alle sfide ecologiche locali e planetarie. La transizione ecologica ci spinge a vivere e usare il territorio e il nostro mare in modo sostenibile, in modo tale da far crescere il mondo produttivo riducendo al contempo gli impatti sugli ecosistemi. Ci spinge a sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili, assicurando l’autonomia e l’indipendenza energetica a basso costo. Ci chiede di modificare i nostri consumi limitando gli sprechi inutili e la produzione di rifiuti. La transizione ecologica non offre solo una risposta economica e sociale alle sfide del nostro Paese, ma ambisce a dargli anche una maggiore competitività rispetto alle economie orientali emergenti aggressive. Lo stesso Green Deal europeo (la promessa verde dell’Europa) che parte dal presupposto di preservare e restaurare gli ecosistemi e la loro biodiversità, è sostanzialmente un modo per “fare la cosa giusta”, ma al contempo serve a impedire che le economie emergenti a basso costo e inquinanti conquistino il mercato.

Ne è un esempio il settore delle automobili dove l’Europa spinge su tecnologie che riducono sempre di più gli impatti, come l’elettrico o l’idrogeno, escludendo al contempo i paesi in via di sviluppo che non sono tecnologicamente competitivi. Nuove modalità di produzione di energia, di consumo, di costruzione delle grandi infrastrutture, di sistemi di trasporto sostenibili, e un’agricoltura sostenibile non permettono solo una crescita economica sana, ma soprattutto forniscono benefici sociali che permetteranno una crescita sociale più armoniosa a partire dall’Italia e dalla comunità europea. Per raggiungere questi obiettivi appare essenziale aumentare il valore che diamo alla protezione e al restauro degli ecosistemi naturali e rendere veramente sostenibile l’uso delle risorse naturali.

Il Ministero della Transizione ecologica nel precedente governo forniva un orientamento chiaro alla sostenibilità, non come obiettivo “ecologista”, ma come modello di sviluppo che potesse rendere il nostro sistema produttivo più competitivo e al meglio delle sue capacità, fornendo anche benefici sociali ed economici. C’è da domandarsi che fine faranno adesso questi “buoni propositi” del passato all’interno del futuro governo. Parlo di buoni propositi perché è chiaro che molti degli obiettivi della transizione ecologica sono andati smarriti anche a causa della congiuntura internazionale e del dramma della guerra in Ucraina che hanno spostato l’attenzione dalla transizione ecologica al dramma umanitario, alla crisi energetica e alimentare.

Ritengo che gli obiettivi della transizione ecologica, a prescindere dalla denominazione data al nuovo Ministero dell’Ambiente, restino un obiettivo irrinunciabile perché mettono assieme tre elementi fondamentali per il futuro del nostro Paese. Il primo è senz’altro quello di una crescita di un sistema economico e produttivo che va inevitabilmente in una direzione di maggiore sostenibilità e circolarità e che, se non adeguatamente supportato, rischia di perdere competitività. Il secondo è il legame tra salute dell’ambiente e salute dell’uomo, poiché paghiamo l’inquinamento anche in termini di costi sanitari e di aspettativa di vita; per questa ragione, un sistema produttivo che sappia coniugare qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo con una maggiore salute umana è senz’altro di interesse prioritario per il nostro Paese. Il terzo è che lo sviluppo sostenibile e la rigenerazione del capitale naturale servono a dare maggior peso ai beni comuni e a non lasciare indietro nessuno, per evitare che siano i ceti sociali meno abbienti, i più poveri, a pagare i costi più alti di una mancata transizione ecologica. Siamo parte di un sistema globale che abbiamo il dovere di comprendere e se possibile guidare, o altrimenti non ci resterà che subire i danni di una mancata transizione ecologica.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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