L'improbabile gigantismo dell'aeroporto di Falconara

L'improbabile gigantismo dell'aeroporto di Falconara

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 6 Novembre 2019, 02:40 - Ultimo aggiornamento: 18:20
Nell’articolo della scorsa settimana avevo sottolineato l’importanza assunta da un efficiente sistema di mobilità delle persone per la competitività di imprese e territori. Avevo anche notato che le Marche presentano alcuni elementi di svantaggio, non solo per la posizione geografica periferica ma anche per alcune debolezze nella dotazione infrastrutturale. I collegamenti aerei sono in questo momento l’anello più debole, anche a causa della lunga situazione di crisi attraversata dalla società di gestione dell’aeroporto delle Marche. Situazione che, come è noto, dovrebbe aver trovato una soluzione con l’acquisizione da parte di un gruppo privato. Ci auguriamo di vedere risultati a breve, tenendo però presente che l’aeroporto delle Marche soffre di alcune debolezze strutturali oltre che del pregresso disastro gestionale. Le principali debolezze derivano dall’esiguità del bacino di riferimento e dalla carenza di collegamenti con i centri urbani vicini. I due aspetti sono collegati poiché l’esiguità del traffico non rende conveniente i collegamenti pubblici, malgrado vi sia una stazione ferroviaria adiacente all’aerostazione. L’esiguità del bacino deriva dall’assenza di rilevanti concentrazioni urbane a ridosso dell’aeroporto e dalla presenza di infrastrutture concorrenziali sui tre lati possibili: Pescara a sud, Perugia e est, Bologna a nord. Di fatto negli ultimi vent’anni i passeggeri in transito dall’aeroporto delle Marche sono rimasti sempre al di sotto delle 500 mila unità, salvo alcuni anni nei quali è stata superata questa soglia (con il picco massimo di 603 mila passeggeri nel 2011). Nel 2018 i passeggeri transitati sono stati 447 mila, esattamente gli stessi del 2001 (450 mila). Questa sostanziale costanza significa in realtà un consistente arretramento in termini di quota di mercato. Nello stesso periodo, infatti, i passeggeri transitati per gli aeroporti italiani sono raddoppiati, passando dai 90 milioni del 2001 ai 185 milioni del 2018. Nello stesso periodo Perugia ha quadruplicato i passeggeri passando dai 56 mila a 220 mila; Pescara ha più che quadruplicato, passando da 150 mila a 660 mila; Bologna ha quasi triplicato, passando da 3,3 milioni a 8,5 milioni. Poiché vi è da supporre che anche i marchigiani hanno seguito il trend nazionale nell’utilizzo del trasporto aereo, se ne deduce che una quota sempre maggiore di residenti nella regione utilizza altri aeroporti, con ciò che ne consegue in termini di maggiori costi e tempi. È indubbio che questo risultato è dovuto non solo alle debolezze strutturali sopra ricordate ma anche alla situazione di crisi in cui ha versato negli ultimi anni la società di gestione. Nella relazione al bilancio 2018 si evidenzia l’insostenibilità della struttura dei costi della società, in particolare per l’eccessivo peso delle spese di personale. Dal bilancio si desume che i dipendenti a fine 2018 erano 96, invariati rispetto all’anno precedente. Che il numero sia eccessivo sembra dedursi dal confronto con le strutture concorrenti. La società di gestione dell’aeroporto di Pescara aveva in organico, a fine 2017, 38 dipendenti con un traffico di oltre 600 mila passeggeri. E’ vero che l’aeroporto delle Marche ha un traffico cargo maggiore di quello di Pescara ma ciò non sembra giustificare una discrepanza così macroscopica. Se si applicasse all’aeroporto delle Marche lo stesso rapporto passeggeri/dipendenti di quello di Pescara ne deriverebbe una necessità di traffico di oltre 1,5 milioni. È auspicabile che questa situazione si risolva al più presto con il minimo di costi per i lavoratori e per la collettività. Allo stesso tempo sorgono spontanee alcune domande. La prima è sulla base di quale piano sia stato dimensionato l’organico della società, che era a 93 unità già nel 2012. La seconda domanda è perché ci sono voluti tutti questi anni per rendersi conto che la situazione era economicamente insostenibile. Trascinare le situazioni di crisi non fa altro che accrescerne i costi, privati e collettivi. In questo vi è l’aggravante che si tratta di un’infrastruttura rilevante per la collettività regionale. Il cui stallo ha provocato e provocherà danni notevoli all’intera economia regionale.

Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche
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