Marche, da 20 anni le Galapagos d’Italia e adesso possono diventare un modello

Marche, da 20 anni le Galapagos d’Italia e adesso possono diventare un modello

di Roberto Danovaro
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Giovedì 11 Marzo 2021, 10:25

Le Marche sono una regione di grande bellezza paesaggistica e naturalistica, tra i 180 chilometri di coste e i Monti Sibillini. Un territorio ricco di storia, cultura e tradizioni, con oltre 30 dei borghi medievali più belli di Italia. Qualità che la rendono un territorio unico. Ho avuto modo di dire in passato che questa regione rappresenta una Toscana ancora da scoprire e valorizzare. Un territorio laborioso e a forte vocazione imprenditoriale con una collocazione baricentrica in Adriatico, il mare più ricco e pescoso del Mediterraneo, che si affaccia sulla Croazia e i Paesi dell’Est. La sua posizione è strategica anche in Italia, a poca distanza, in linea d’aria, da Roma, Bologna, Milano a Bari. Tutto questo dovrebbe permettere alle Marche di giocare un ruolo chiave nello sviluppo del Paese. Ma questo purtroppo non avviene perché le Marche mancano di identità. Si isolano dal dibattito politico nazionale e sono escluse dalle priorità di rilancio del Paese. Basta vedere non solo il peso della Regione nelle scelte strategiche nazionali ma anche la limitata capacità di proporre le infrastrutture necessarie al territorio, a partire da un trasporto/mobilità efficiente e sostenibile. Con scelte diverse, le Marche sarebbero potute diventare un modello per l’innovazione green a partire dalle sue tantissime imprese. Avrebbe potuto integrare il tessuto produttivo con la ricerca delle sue quattro Università e spingere il sistema a innovarsi, anticipando i modelli di sviluppo sostenibile e rilanciandone la crescita. La transizione ecologica non è stata inventata da Ursula von der Leyen. L’Onu l’ha lanciata nel 1983 con la “Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo”. Vent’anni fa, non ieri, Kofi Annan, Segretario Generale Onu dichiarava: «Viviamo in un pianeta inserito in una delicata ed intricata rete di relazioni ecologiche, sociali, economiche e culturali che regolano le nostre esistenze. Se vogliamo raggiungere uno sviluppo sostenibile, dovremo dimostrare una maggiore responsabilità nei confronti degli ecosistemi dai quali dipende ogni forma di vita, considerandoci parte di una sola comunità umana, e nei confronti delle generazioni che seguiranno la nostra. Il Vertice di Johannesburg 2002 rappresenta un’opportunità per l’impegno di costruire un futuro più sostenibile». I nostri politici hanno il dovere di ascoltare e capire per identificare e anticipare le traiettorie del futuro con scelte coerenti. Le Marche da 20 anni sono state le Galapagos d’Italia, belle ma auto-isolate, anzi bendate di fronte all’evoluzione socio-culturale emergente. E, prive di visione, non sono state capaci di dare un senso allo sviluppo del territorio. È mancata la capacità di innovare e di progettare il futuro. L’innovazione non si fa copiando chi innova, ma definendo prima degli altri una prospettiva diversa capace di anticipare il futuro. Ebbene qui, non solo non siamo stati capaci di innovare, ma non siamo neanche stati capaci di copiare modelli virtuosi di altre città italiane o europee. Nessuno dà credito (e fondi) a chi non ha progetti e, non meno grave, la mancanza di una visione ha privato i marchigiani di una sua identità collettiva. L’impulso dato dall’Europa alla transizione ecologica ci offre una seconda chance, grazie anche ai 200 miliardi messi a disposizione, per realizzare un modello di sviluppo ecologicamente sostenibile. I territori che sapranno riorganizzare più rapidamente la loro economia verso la transizione ecologica saranno più competitivi (vedi la Germania) e più credibili. Perché in futuro nessuno darà più credito a chi non è stato in grado di imboccare con convinzione la strada del New Green Deal. Le Marche possono diventare un modello italiano per la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile se sapranno innovare la gestione delle città e del territorio e orientare il patrimonio produttivo e industriale. Per operare questa rivoluzione culturale e imprenditoriale devono però aprirsi, confrontarsi e mettere in campo le migliori competenze, uscendo da riottose beghe di bottega e dalla politica provinciale del “qui comando io”. È il momento di creare un sodalizio vero tra tutte le Università, le Camere di Commercio, Confindustria, i Sindaci, il governo regionale e i portatori di interesse del territorio per un progetto che vada nella giusta direzione, dove l’ambiente non viene visto come un freno allo sviluppo ma come motore per la ripresa sostenibile e duratura. Perché non c’è turismo sostenibile (e non c’è salute) se abbiamo un mare inquinato e depredato, città piene di smog, siti contaminati che avvelenano le acque di falda e fabbriche dismesse e abbandonate, con città e borghi medioevali abbruttiti dal cemento. Le Marche devono puntare su una agricoltura biologica e diversificata, pesca sostenibile, recuperare le aree interne, disinquinare centinaia di siti contaminati. Devono bloccare il consumo di suolo e la cementificazione, restaurare edifici e aree industriali abbandonate, promuovere la natura e le infrastrutture verdi nelle città. Devono puntare sull’ innovazione verde e sostenibile e ri-programmare un uso del territorio dove ci sia spazio sia per le attività produttive green sia per la protezione dell’ambiente. Ma la strada è ancora lunga, se pensiamo che i politici marchigiani, di destra e sinistra, si affannano a dichiararsi contrari alla protezione anche solo parziale di poche centinaia di metri di Costa del Conero per non scomodare qualche piccolo interesse di bottega.
* Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto
nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine

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