La dominanza tecnologica nella crisi del legame sociale

​La dominanza tecnologica
nella crisi del legame sociale

di Rossano Buccioni
4 Minuti di Lettura
Martedì 22 Ottobre 2019, 10:15 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 12:51
Per post-umanesimo si intende una corrente di pensiero che unendo filosofia, informatica e biotecnologie ricerca strategie complesse per mutare la persona in qualcosa di inedito, che esprima allo stesso tempo caratteristiche umane e non umane, avallando la convinzione che l’ingegneria genetica, la robotica e le nanotecnologie possano determinare una rivoluzione di carattere sociobiologico sul nostro corpo e sul nostro cervello. Il dibattito sul post-human si affermò in ambito artistico a partire dagli interrogativi sull’effetto sociale delle body modifications che iniziavano a far discutere a partire dalla diffusione della chirurgia estetica.
Lo sviluppo di tali pratiche – che crescevano insieme all’incremento del potere medico sulla corporeità - normalizzava il controllo sulla percezione che gli altri hanno di noi, costruita sulla falsariga della nostra auto-percezione. Genomica, bionica e robotica stanno per generare un salto evolutivo nella nostra specie destinato a spingersi molto oltre il semplice potenziamento fisico e questa trasformazione potrebbe toccare anche la coscienza. Già il biofisico Gregory Stock, ex direttore del programma di medicina, tecnologia e società presso la school of medicine dell’Ucla di Los Angeles, autore del celebre “Riprogettare gli esseri umani”, illustrava le implicazioni scientifiche, etiche e politiche delle rivoluzioni odierne nelle scienze della vita e nell’informatica. Nello stesso periodo si inaspriva il dibattito sul “Body Shop”, divenuta la formula vincente di un certo modo di intendere il rapporto dell’essere umano con l’ambiente tecnologico che emerge al di sopra dei suoi bisogni. Body Shop negli Usa è ciò che sta scritto sull’insegna dei negozi che vendono pezzi di ricambio per le auto, offrendo uno spunto importante per riferirsi direttamente allo statuto del corpo umano, fortemente inciso da tecnologie medico-farmacologiche molto potenti – si pensi alle tecnologie dei trapianti – capaci di riprogrammare un’esistenza in base alla sua specifica collocazione sociale.
Prima ritenuto antiquato, poi dominato da una concetto di libertà assoluto quanto aleatorio che diventa il modello di tutti gli altri valori, l’umano vive gli inizi di quella che Ayesha Khanna (PhD in economia politica alla London School of Economics) e Parag Khanna, uno dei maggiori esperti mondiali di geopolitica, definiscono «età ibrida», con una forza di spinta tecnologica che produce nuove visioni dell’uomo e del mondo. Sia che si pensi ad una perdita di controllo su ciò che l’uomo stesso ha creato, o si sia convinti che il tutto imponga alla parte logiche emergenti capaci di determinare livelli di realtà sempre nuovi, appare chiaro che l’uomo deve ormai imparare ad adattarsi ad un ambiente che lui stesso ha creato. Le nuove necessità evolutive fanno si che non sia più possibile sperare in un adattamento naturale all’ambiente, essendo tale processo chiaramente più lento delle trasformazioni che è possibile produrre nella dimensione artificiale dell’infosfera. I trans-umanisti sono un caso limite di una cultura tecnologica ultrà, che ha le sue mitologie, ma anche diverse zone d’ombra insite nei rischi del potenziamento umano. Da un lato continuiamo ad adattare tecnologicamente la realtà ricercando le migliori condizioni di vita, ma dall’altro, sappiamo bene che tale cambiamento contiene al suo interno una istanza ben più impegnativa che ci impone l’obbligo di adattarci all’ambiente tecnologico.
Il neurobiologo Oliver Sacks era convinto della necessità di umanizzare la tecnologia per evitare che la tecnologia ci disumanizzasse. Nel clima di fiducia tecnologica in cui viviamo, apprezziamo ogni strumento che riteniamo arricchisca e faciliti la nostra vita, anche se con gli accessi in rete, sappiamo di dover rinunciare al controllo di dati che forniamo volontariamente sia a governi che ad aziende. Non possiamo cancellare le informazioni online che ci riguardano, sovente uniche e imprescindibili - come nel caso di quelle genetiche - così da consegnarci totalmente all’ideologia della trasparenza. Si tratta di informazioni già utilizzate per stabilire l’idoneità di una persona ad un lavoro oppure a ricevere un finanziamento. Si intuiscono chiaramente i profili di una condizione che venne definita nei primi anni ’90 «eugenismo di mercato e concorrenza genetica», determinando forme più o meno pesanti di esclusione da determinate comunità e tipologie di esperienza consentite in base a stringenti criteri genetici. L’età ibrida potrebbe considerarsi un’era progettuale nel senso inteso dal premio Nobel per l’economia Herbert Simon, cioè un tentativo sinergico di trasformazione della civiltà pensato dentro una tecnologia in forte discontinuità con le precedenti. In molti prefigurano una realtà da fantascienza: sfruttando la risonanza magnetica funzionale del cervello, alcune aziende all’avanguardia cercheranno di seguire le tracce delle verità che la nostra mente non dice, inserendosi nelle traiettorie dell’auto-determinazione. Grazie all’analitica predittiva, sarà possibile anticipare i bisogni e i desideri delle persone sulla base della loro cyber-impronta, con innovative tecnologie di neuro-marketing subliminale che venderanno prodotti tramite pubblicità personalizzate e dispositivi di morphing installati su distributori automatici, tabelloni pubblicitari, ecc. Nonostante un futuro in cui il mercato farà leva sulla neuro-economia (una combinazione di analitica dei dati, biochimica e neuroscienze), per generare piattaforme trans-mediali che utilizzeranno una realtà virtuale potenziata, resta l’obbligo di pensare l’uomo in tutta la sua complessità. Pro-determinata da chi? Questa è la domanda.

*sociologo della devianza e del mutamento sociale
© RIPRODUZIONE RISERVATA