Il moderno rapporto valori/norme nella condizione di nativo digitale

Il moderno rapporto valori/norme nella condizione di nativo digitale

di Rossano Buccioni
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Lunedì 10 Maggio 2021, 18:34 - Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 06:45

Un sondaggio di Skuola.net, realizzato interpellando seimila alunni di scuole medie e superiori, avrà inquietato non poco gli ideatori del progetto ministeriale che prevede l’apertura degli istituti scolastici durante i mesi estivi. Degli interpellati, quasi otto su dieci hanno espresso il desiderio di volersi godere la stagione estiva in altro modo, rifiutando la generosa offerta adulta di presidiarne la qualità temporale all’interno della replica sussidiaria delle logiche scolastiche.

Tale abnegazione sarebbe encomiabile se vi fosse la piena condivisione da parte dei giovani del progetto di vita adulto, ma la condizione giovanile sembra vivere gli effetti di un “distancing between generations” (deriva intergenerazionale) di cui stentiamo a perimetrare le diverse implicanze. I dati prima citati evidenziano il chiaro rifiuto di un aiuto non richiesto con l’input chiaro di non oltrepassare il mandato istituzionale che l’istruzione riceve e che – al netto dello sperimentalismo ondivago delle burocrazie pedagogiche – se vuole farsi leva sociale, deve dimostrare di reggere il passo di altre agenzie di socializzazione (il web, sub-culture urbane, culture visuali, ecc.) capaci di raggiungere i giovani in modo efficace quanto informale, nel senso di non impegnarli nella declinazione della loro rappresentazione del mondo sulla falsariga di quella dei valori adulti. Il bioeticista Giannino Piana scriveva che “la norma è sempre il precipitato storico del valore”, ancorandolo ad un determinato sistema di aspettative che relazionano Ego ad Alter.

Nelle epoche “sacrali” (con la struttura sociale orientata verso l’Aldilà e le dimensioni metafisiche dell’esistenza), il valore da rispettare derivava da Dio e dalla sua signoria sul mondo. Quando l’orientamento della struttura di civiltà transita progressivamente verso una dimensione “Factual” (empirica, centrata sull’oggettivazione dei rapporti sociali e personali), dunque non più – o solo parzialmente - metafisica, il sistema dei valori cambierà, passando da una ispirazione divina ad una giustificazione mondana, confacente alle novità sovente declinate in chiave teologica come “segni dei tempi”. Dentro questo orientamento all’al di qua, il processo storico vede un costante progresso dell’autonomizzazione dell’individuo. Nei secoli passati le persone erano molto meno “individui” di noi, nel senso che le ragioni che legavano un uomo o una donna alla comunità (dunque alle rigide regole dell’appartenenza socio-culturale), erano certamente più importanti degli elementi che da quella comunità li potevano distinguere. L’individuo moderno è allora il risultato di un duplice processo di scioglimento dei vincoli che lo tenevano agganciato ad una comunità. In generale, l’individuo è diventato valore in sé e ciò vuol dire che nella condizione umana registriamo difficoltà sempre maggiori ad accettare il legame (con gli altri, con la natura o con Dio) come qualcosa di costitutivo per la struttura identitaria.

La condizione di “nativo digitale” accelera lo scioglimento progressivo dei legami che l’individuo intratteneva con la società.

E’ il teorico dell’educazione Marc Prensky ad utilizzare per primo quella locuzione, volendo esprimere una netta separazione tra chi vive direttamente le proprie dinamiche di sviluppo all’interno di un ambiente del tutto nuovo (quello digitale appunto) e chi continua ad appartenere alla condizione precedente (analogica). Nella dimensione analogica le cose esistono in una realtà data per scontata, oppongono resistenza, costringono alla fatica dell’incontro con l’altro, al lavoro ed al rimaneggiamento costante delle proprie modalità di accesso al reale. Possiamo dire che l’esterno detta regole di assimilazione all’interno e l’individuo è impegnato in un duro apprendistato – di cui resta largamente inconsapevole – che gli consentirà di costituirsi attore sociale. La “cultura digitale”, agendo in senso trasformativo su ciò che esiste partendo dalle specifiche esigenze delle persone, sembrerebbe consentire la loro espressione non solo come forzato adeguamento ad un mondo che domanda solo di essere introiettato.

I giovanissimi che passano dalla socializzazione primaria (famiglia) a quella secondaria (scuola e gruppo dei pari), attraversano l’ambiente digitale in una fase assai delicata di costruzione delle competenze relazionali, comunicative e sociali, tutte influenzate non solo dall’utilizzo degli strumenti informatici, ma da una sorta di adesione immersiva, libera da tradizionali obblighi formativi, inserita in un gioco di nascondimento e costante ridefinizione del reale. Se ciò consente di sperimentare inedite quanto stimolanti forme di relazione, i tanti giovani coinvolti sembrano come sequestrati dalle sirene d’Ulisse del presente. Gli antichi accessi dei più giovani alla realtà costruita dagli adulti (la responsabilizzazione per imitazione, l’interiorizzazione del senso del limite, ecc.), sembrano diventare irrilevanti e l’ambiente digitale fornisce una sorta di maquillage biografico permanente, un Eden egolatrico dove ritardare il contatto con l’urto della realtà. Quel mondo che il digitale simula perfettamente (ormai la copia sa essere più realistica dell’oggetto simulato), se non adeguatamente garantito nei suoi statuti lungo il processo di socializzazione, sarà rifiutato quando i giovani dovranno sostenere la pressione conformizzante che il sistema sociale attiva specialmente in quelle fasi di passaggio che, scandendo l’attraversamento di importanti periodi dell’esistenza, potranno sanzionare un avanzamento individuale oppure una dolorosa regressione come rifiuto di ciò che esiste, allucinato dai falsi sé che occultano il rischio di esclusione tra gioco e sogno.

*  Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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