La scorsa settimana la Fondazione Aristide Merloni ha pubblicato la Classifica delle principali imprese marchigiane. I commenti si sono inevitabilmente concentrati sugli aspetti congiunturali relativi all’impatto e alle conseguenze della crisi attuale. Alla lunga, però, saranno gli aspetti strutturali a determinare la capacità del sistema produttivo di reggere le sfide della trasformazione all’uscita dalla crisi. A questo proposito la classifica ci segnala che le Marche mantengono un rilevante e diversificato sistema manifatturiero ma un esiguo numero di grandi imprese. Una sola supera il miliardo di Euro di vendite (Ariston Thermo Group) e una vi si avvicina (TOD’S). Poi le dimensioni scendono rapidamente: la numero 50 fattura poco più di 100 milioni di Euro. Nel contesto regionale sembrano dimensioni rilevanti, ma non lo sono nell’ambito internazionale. Le Marche da questo punto di vista accentuano un fenomeno che riguarda l’intero paese ma che per molti non sembra costituire un problema. E’ diffusa l’idea che si possa fare a meno delle grandi imprese purché si disponga di un numero consistente di piccole imprese; tanto più se organizzate in sistemi territoriali in cui ognuna agisce non singolarmente ma come parte di una filiera. Sembra una soluzione efficiente dal punto di vista economico e preferibile dal punto di vista sociale rispetto al capitalismo delle multinazionali. Termine, quest’ultimo, che nel nostro paese ha perso il significato neutro di impresa operante in più paesi per indicare, con una connotazione generalmente negativa, grandi imprese votate al profitto e scarsamente attente alle esigenze dei territori in cui operano. Non è semplice capire le ragioni del declino delle grandi imprese e della scarsa considerazione di cui godono. Qualcuno sostiene che le piccole dimensioni sarebbero connaturate alla storia e alla cultura dell’Italia. La nostra tradizione manifatturiera si sarebbe consolidata nella capacità di servire una esigua élite nobiliare per cui è più adatta a produzioni personalizzate e di qualità piuttosto che alle produzioni di massa. Sono argomenti che hanno contribuito a diffondere l’idea che la presenza di piccole imprese sia un carattere ‘costitutivo’ della nostra cultura imprenditoriale, inadatta a gestire grandi imprese.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni