Il dibattito tra grandi e piccole che non aiuta le imprese

Il dibattito tra grandi e piccole che non aiuta le imprese

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 16 Dicembre 2020, 04:05

La scorsa settimana la Fondazione Aristide Merloni ha pubblicato la Classifica delle principali imprese marchigiane. I commenti si sono inevitabilmente concentrati sugli aspetti congiunturali relativi all’impatto e alle conseguenze della crisi attuale. Alla lunga, però, saranno gli aspetti strutturali a determinare la capacità del sistema produttivo di reggere le sfide della trasformazione all’uscita dalla crisi. A questo proposito la classifica ci segnala che le Marche mantengono un rilevante e diversificato sistema manifatturiero ma un esiguo numero di grandi imprese. Una sola supera il miliardo di Euro di vendite (Ariston Thermo Group) e una vi si avvicina (TOD’S). Poi le dimensioni scendono rapidamente: la numero 50 fattura poco più di 100 milioni di Euro. Nel contesto regionale sembrano dimensioni rilevanti, ma non lo sono nell’ambito internazionale. Le Marche da questo punto di vista accentuano un fenomeno che riguarda l’intero paese ma che per molti non sembra costituire un problema. E’ diffusa l’idea che si possa fare a meno delle grandi imprese purché si disponga di un numero consistente di piccole imprese; tanto più se organizzate in sistemi territoriali in cui ognuna agisce non singolarmente ma come parte di una filiera. Sembra una soluzione efficiente dal punto di vista economico e preferibile dal punto di vista sociale rispetto al capitalismo delle multinazionali. Termine, quest’ultimo, che nel nostro paese ha perso il significato neutro di impresa operante in più paesi per indicare, con una connotazione generalmente negativa, grandi imprese votate al profitto e scarsamente attente alle esigenze dei territori in cui operano. Non è semplice capire le ragioni del declino delle grandi imprese e della scarsa considerazione di cui godono. Qualcuno sostiene che le piccole dimensioni sarebbero connaturate alla storia e alla cultura dell’Italia. La nostra tradizione manifatturiera si sarebbe consolidata nella capacità di servire una esigua élite nobiliare per cui è più adatta a produzioni personalizzate e di qualità piuttosto che alle produzioni di massa. Sono argomenti che hanno contribuito a diffondere l’idea che la presenza di piccole imprese sia un carattere ‘costitutivo’ della nostra cultura imprenditoriale, inadatta a gestire grandi imprese.

La fondatezza di queste tesi è discutibile. Indipendentemente dalla loro validità è certo che nel nuovo contesto competitivo l’esiguo numero di grandi imprese è un problema ed è difficile sostenere la competitività nell’arena internazionale contando sui nostri sistemi di piccole imprese. Questi sistemi sono efficienti quando si tratta di utilizzare al meglio e con flessibilità tecnologie note; mostrano, invece, limiti evidenti quando la competizione si basa, come sempre più spesso avviene, sulla capacità di investire in ricerca e sviluppo, nella comunicazione o nella costruzione e gestione di reti distributive. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio con la recente vicenda dello sviluppo del vaccino per il Covid-19. Nessun sistema di piccole imprese, per quanto robusto e articolato, sarebbe riuscito a mobilitare e organizzare le risorse necessarie per raggiungere lo scopo. Il settore farmaceutico è interessante anche per comprendere che un sistema di sole grandi imprese sarebbe altrettanto poco efficace. Il farmaceutico è infatti un settore nel quale vi è anche un notevole rigoglio di start-up e piccole imprese che operano in sinergia con le grandi nell’attività innovativa oltre che nel coprire specifiche nicchie di mercato. È quindi del tutto sterile la diatriba di cui spesso si dibatte nel nostro paese sulla preferibilità delle piccole o delle grandi imprese. Sono entrambe necessarie poiché svolgono ruoli diversi e fra loro non sostituibili. Per questo piccole e grandi imprese vanno considerate in un’ottica di complementarità e non di contrapposizione. In questo momento è inevitabile porre attenzione al tessuto delle piccole imprese poiché è quello maggiormente vulnerabile in situazioni di crisi; occorre però porre altrettanta attenzione ai fattori che limitano la crescita delle imprese e alle condizioni che possono favorire la ricostituzione di un robusto sistema di grandi imprese.

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coord. Fondazione Merloni 

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