Un po’ di inglese in attesa del cambio generazionale

Un po’ di inglese in attesa del cambio generazionale

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 29 Gennaio 2020, 10:35
Non sarà sfuggito ai lettori di questo giornale l’articolo di mercoledì scorso a firma di Martina Marinangeli e Andrea Taffi sul bando triennale da 160.000 euro per corsi di formazione di lingua inglese per i dipendenti della Regione Marche. Si tratta di pacchetti formativi di 27 ore per migliorare fluency, reading e writing. Il corso è rivolto in particolare a coloro che si occupano di internazionalizzazione, fondi comunitari e rapporti con la Ue. La notizia si presta ad alcune riflessioni. La prima non può essere che di plauso all’iniziativa regionale. Elevare la qualità del capitale umano è fondamentale per tutte le organizzazioni e a maggiore ragione per quelle, come la Regione, che hanno il compito di fornire alla collettività servizi complessi e ad alto valore di conoscenza. La loro efficienza ed efficacia è strettamente legata alle competenze delle persone, oltre che alla qualità dei sistemi e dei processi organizzativi. Per questi ultimi è noto che la pubblica amministrazione del nostro paese non brilla per cui non resta che affidarsi alla qualità delle persone. Nel caso specifico, la conoscenza dell’inglese è diventata fondamentale in quasi tutti gli ambiti di attività ed in particolare in quelli che producono sevizi avanzati. Si potrebbe anzi suggerire di estendere la formazione a tutti i dipendenti e non limitarla a quelli che hanno necessità di interagire con persone e istituzioni di altri paesi. In quasi tutti i campi del sapere la letteratura scientifica e tecnica è scritta in inglese. Si tratta quindi di una lingua fondamentale per chiunque voglia tenersi aggiornato nel proprio campo. E’ vero che la tecnologia della traduzione simultanea viaggia a ritmi spettacolari e promette di farci leggere a ascoltare qualunque contenuto nella nostra lingua. Questo però vale per i contenuti generici, meno per quelli specialistici. In ogni caso rimane l’importanza di conoscere l’inglese nelle interazioni con persone che non conoscono la lingua italiana. Una necessità che sta crescendo rapidamente in tutti gli ambiti, anche quelli della pubblica amministrazione, tradizionalmente meno aperti alle relazioni con l’estero rispetto alle imprese. Fin qui le considerazioni positive. Ve ne sono altre che inducono ad essere meno ottimisti. La prima è che l’iniziativa della Regione Marche segnala una situazione generalizzata nel nostro paese di scarsa conoscenza della lingua inglese da parte degli adulti, anche quelli che hanno un diploma o una laurea. Sulla carta dovrebbero tutti avere un buon livello di conoscenza della lingua inglese, per averla studiata alla scuola secondaria inferiore e superiore e all’università. Sappiamo, purtroppo, che non è così. Sono ancora poco diffusi nel nostro sistema scolastico e universitario i sistemi di accertamento e certificazione delle competenze linguistiche. Il risultato è che si può avere un ottimo voto in lingua inglese ma essere di fatto incapaci di utilizzare in modo efficace la lingua. A parità di voto scolastico vi è un’elevata variabilità nell’effettiva competenza linguistica, e la conoscenza della lingua inglese continua a dipendere dall’investimento individuale. Nell’impossibilità di mettere mano al nostro sistema scolastico (fra i più immobili e conservatori) l’unico modo per cambiare la situazione potrebbe essere proprio quello di far leva sugli incentivi individuali ad investire nella conoscenza dell’inglese. Ad esempio, rendendo impossibile assumere ruoli dirigenziali nella pubblica amministrazione se non si è in grado di dimostrare una competenza (vera) nell’utilizzo della lingua. Si eviterebbero in questo modo le frequenti situazioni imbarazzanti di chi, pur avendo ruoli di responsabilità, è incapace di farsi valere in ambito internazionale. Il Corriere Adriatico di Domenica scorsa ne ha fornito un significativo esempio nell’articolo che ricordava le difficoltà dei dirigenti di Aerdorica e dei funzionari regionali ad interagire con potenziali investitori internazionali negli anni scorsi. L’iniziativa della Regione Marche è, quindi, meritoria anche se è illusorio pensare che questa situazione possa risolversi con un corso di 27 ore. Non resta che sperare nel ricambio generazionale.

*Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche
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