Bande giovanili, la violenza come un’apocalisse culturale

Bande giovanili, la violenza come un’apocalisse culturale

di Rossano Buccioni
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Martedì 7 Febbraio 2023, 07:25

Un numero sempre maggiore di osservatori attoniti tenta ripetutamente immersioni nel magma sociale - qualcuno parlerebbe di contingenza sociale pura - alla ricerca del punto di caduta in cui evidenziare le trasformazioni della paura che si muta sempre più spesso in rancore e violenza, specialmente nei casi di esacerbato passaggio all’azione che vedono protagonisti giovani e giovanissimi, figli del passaggio da una società di classe a quella liquida. Le forme di violenza agita in contesti urbani a forte differenziazione tra bande rivali, si mostrano concorrenti nella più corretta interpretazione di un modello umano ritenuto vincente, basato sulla prevaricazione, dominio e immediato raggiungimento di obiettivi capaci di saturare l’ordine dei bisogni massificati largamente indotto dalla società di mercato. La scarsa propensione della scuola a dettare le logiche di un percorso maturativo si salda con la fine delle garanzie emancipative del lavoro ridotto a merce e ciò rende impossibile avere la temperatura sociale dei gruppi umani dopo che l’antico sistema ordinatorio delle classi si è trasformato in un pulviscolo indecifrabile, quello che la Fondazione Censis in uno degli ultimi report sulla situazione sociale dell’Italia apostrofava come “Blob indeterminato”. La stessa conflittualità sociale si è mutata in micro-collisioni tra interessi infinitesimi, compulsivamente agiti nell’immediatezza di un quotidiano senza progetto, con lo stesso conflitto di ceto o di classe che, da grande nominatore dei processi sociali in età industriale, diventa “orizzontale” (N. Urbinati), incapace cioè di esprimere una tensione che si sprigiona dal basso verso l’alto, essendo risucchiato all’interno delle forme raggrumate del rancore e dell’invidia sociale. Tale invidia, riorganizzata e potenziata seguendo le inedite traiettorie della smaterializzazione e della spettacolarizzazione dell’esistenza, ingigantendo la residualità delle esperienze possibili a misura di quelle concesse dai dispositivi dispotici che le eleggono a parametro di potenza, scatena bande di giovani all’interno di contese urbane per il controllo di questo o quell’obiettivo parziale, quanto invariabilmente criminogeno. Da più parti cresce la consapevolezza che per uscire dal labirinto – o quantomeno per orientarsi nei paradossi che bloccano le logiche operative dei sistemi sociali differenziati - occorra il coraggio di analisi e decisioni inedite, sensibili alle questioni tipiche dell’attuale salto d’epoca e della forzata rinunzia ad osservazioni del reale più convenzionali. Per spiegare le deflagranti occorrenze di una violenza cieca ed omicidiaria, non basta evocare la scarsa propensione dei giovani a distinguere, in questo caso il crimine dalla norma e la vita dalla morte. I giovani sembrano travolti da una sorta di apocalisse culturale (E. De Martino), nel senso di sentirsi in possesso di specifici accessi ad una realtà che, cambiando rapidamente, diventa indice della fine di un mondo e di una intollerabile mancanza di modelli d’esistenza per il futuro. Il giovane che si aggrega in gruppi identitari a difesa della sua scarsa inclusione sociale, soffre il lato oscuro della globalizzazione, quello che emerge dall’avanzarsi della cultura post-human, sperimentato da milioni di atomi sociali nelle forme del costante rimaneggiamento dei corsi di vita, del declassamento del lavoro e dell’erosione del suo valore di promozione del sé all’interno di un contratto sociale sempre nuovo. I giovani, spesso soli nella spirale del disagio esistenziale, sembrano le inconsapevoli componenti di una moltitudine anonima che non produce soggettività in quanto esito drammatico della crisi della corrispondenza tra sociale ed umano. Nella costante rimessa in discussione dei parametri della socializzazione, si farà incerta l’interiorizzazione di strutture di civiltà che dovrò mostrarmi pronto a revocare in dubbio alla prima occorrenza (personale, sentimentale, lavorativa, ecc.), con la violenza cieca delle sub-culture giovanili che assume il senso di una resa definitiva alla dittatura dell’esistente. Le soluzioni ricercate riguardano la ricostruzione di forme di comunità e di cura, nel tentativo di praticare una ricomposizione dei legami sociali oltre le logiche strumentali dominanti che vincolano l’io ad una lettura della realtà che esclude l’altro, facendone un elemento inessenziale proprio perché le trame dell’individualizzazione possessiva mutano il prossimo in lontanissimo. Le strategie di inferiorizzazione attivate nella violenza omicidiaria, recuperano antiche logiche, con i passaggi immediati all’azione che si fanno cifra di culture dell’immediata corrispondenza tra bisogno e soddisfacimento, senza differimenti temporali nella strutturazione psichica del senso di realtà. Si attivano inediti rinforzi di storici repertori di disumanizzazione, con il livello di manifestazione dell’odio che attiva il topos della persona-bersaglio e successivamente della sua inquietante limitazione/eliminazione. Non dimentichiamo l’influsso delle culture visuali sull’incremento del conflitto inespresso e della violenza che ne conseguono. Sempre più spesso l’odio sui social configura precise strategie che determinano il passaggio all’azione. Se l’avvento del web, ha permesso di connettere molte persone contemporaneamente, ha anche acuito la forza degli elementi disgreganti a causa dell’eccessiva aggressività che consente di sperimentare. L’agorà virtuale, oltre agli innumerevoli aspetti positivi, ha anche l’effetto di spersonalizzare e de-materializzare la comunicazione, con la possibilità di snaturare un medesimo messaggio che, riferito a voce produrrà una data evenienza, mentre scritto in rete potrà determinare tragiche conseguenze.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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