Il figlio di un famoso capo politico è stato coinvolto in una vicenda di abusi sessuali di gruppo a danno di due ragazze con relativa circolazione di materiale audio/video che potrebbe costituire prova di reato. Il Corriere Adriatico ha dato notizia del ricatto sul web subito da alcune ragazzine da parte di coetanei per avere in cambio foto oseè, confermando il dato di una vera e propria esplosione della cyber violenza nei mesi della Dad. Questi due fatti non interessano a partire dalle loro risultanze prossime (sulle quali indagano le Procure), ma da quelle remote, legate a condizioni socio-strutturali predisponenti sulle quali appare assai difficile farsi una semplice opinione. In entrambi i casi si rilevano dinamiche di oggettivazione ed inferiorizzazione della corporeità femminile in contesti di violenza diffusa contro le donne. Se, in situazioni di conflitti, gli uomini usano da sempre la violenza sul femminile come strategia di guerra, operando nella “cosificazione” delle donne l’efferata presa di possesso di un territorio, i casi in questione evidenziano una “violenza in tempi di pace” che trae origine da un plafond culturale espressivo di una problematica costruzione sociale della corporeità femminile. Esiste una relazione tra il livello di violenza considerata legittima in una determinata società e la gravità degli atti effettivamente compiuti al suo interno, mantenendosi uno stretto legame tra la mancanza di potere delle donne e la loro probabilità di subire violenza, con strutture sociali inerti di fronte alla subordinazione femminile maggiormente gravate dalle infauste conseguenze della prevaricazione maschile. Dove la violenza contro le donne è più diffusa è maggiormente valorizzata l’aggressività maschile che – almeno nel primo mondo – sarebbe ormai da intendere anche come “termometro regressivo”, data l’estrema aleatorietà delle traiettorie simboliche del maschile. In casi come quelli in oggetto, la violenza si esplica attraverso forme di oggettivazione sessuale, concentrandosi su parti del corpo di una persona, invece di considerarla nella sua interezza. Il processo di oggettivazione prevede la riduzione delle persone ad oggetti privi di individualità, a disposizione di altri, muovendo da una costruzione della corporeità femminile centrata su ideologie che ne contemplano anche l’abuso. In tal modo, si determina un continuum tra de-umanizzazione/oggettivazione e piena disponibilità a compiere aggressioni sessuali, seguendo i codici di un “cameratismo rappresentativo” centrato sulla discriminazione banalizzante delle capacità decisionali della donna. Tra i fattori che contribuiscono a creare un clima predisponente alla violenza sulle donne, oltre agli stereotipi di genere ed alla zona grigia di un sessismo blandamente benevolo, frammisto di senso comune irriflesso, vi sono anche immagini pornografiche e video-giochi violenti. La psicologa sociale Chiara Volpato, citando dati relativi agli effetti dell’esposizione ad immagini - televisive o web - ispirate da criteri oggettivanti, dimostrava l’aumento nei maschi della disponibilità a porre in atto molestie sessuali sulle donne.
*Sociologo della devianzae del mutamento sociale