Risentimento e polarizzazione estrema in ogni giorno di questa fase pandemica

Risentimento e polarizzazione estrema in ogni giorno di questa fase pandemica

di Rossano Buccioni
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Martedì 14 Dicembre 2021, 10:35

Gravemente defedati e con il casco dell’ossigeno, ma sempre determinati nel negare ad oltranza le evidenze pandemiche, senza risparmiare agli stessi operatori sanitari sdegnate occhiatacce: questa la giornata in ospedale di diversi pazienti “no vax” ricoverati per Covid. La polarizzazione pandemica delle opinioni e delle rappresentazioni della realtà emergenziale ci confronta ogni giorno con la sconcertante geografia del dissenso, all’interno di una trincea interpretativa che legge l’accettazione della visione mainstream come rinuncia forzata ad una dimensione espressiva di sé. La polarizzazione tra favorevoli e contrari alla vaccinazione svela la più ampia dimensione del conflitto sociale che riguarda interessi, identità e valori. Se i conflitti relativi allo scontro tra interessi opposti sono negoziabili, con la mediazione che giocherà un ruolo strategico, in presenza di un conflitto identitario i valori in gioco risulteranno difficilmente negoziabili, specialmente in contesti biografici marcatamente flessibili. Il passaggio da una società stratificata ad una funzionale ha delle ripercussioni sulla formazione del sistema di personalità dato che l’identità si potrà definire sempre meno in termini di logiche psico-sociali in quanto il sistema sociale ed il sistema psichico risultano sempre meno co-costitutivi. La riproposizione in chiave sanitaria della dicotomia Guelfi/Ghibellini, dovrebbe spingerci a comprendere meglio la peculiarità dei conflitti di valore rispetto agli altri nell’attuale cultura di massa, dato che non è semplice distinguere gli interessi e le identità dal campo dei valori, muovendo dalle modalità con cui i diversi soggetti del conflitto costruiscono le loro istanze e si rappresentano quelle altrui. La polarizzazione testimonia che l’interesse particolare ed egoistico è sentito con una forza imperiosa e travolgente quale è propriamente quella riservata al valore (che per lo schieramento opposto sarà disvalore). L’identità personale o collettiva debole si lega, spesso in modo indissolubile, a valori con cui solidifichiamo il nostro stesso essere. Il rapporto di reciproca implicazione tra individuo e società, risultava possibile in epoche in cui si registrava una relazione organica tra l’individuo, la cultura ed il sistema sociale. In tali contesti storici l’individuo entra a far parte della società perché ne interiorizzava i modelli culturali ed i ruoli propri di percorsi di senso specifici. Al contrario, la separazione netta tra tempi interni (psichici) e tempi esterni (sociali) fa si che, a fronte di una enorme offerta identitaria, le strategie di identificazione siano deboli e reversibili. In tal senso, posizioni pesantemente dicotomiche affondano le loro radici nel bisogno di un riconoscimento della persona concreta che vuole essere legittimata nella propria particolarità, uscendo “dall’anonimato dell’indistinta eguaglianza” (F.

Viola). La sproporzione che si determina tra necessità di riconoscimento soggettivo e riduzione della complessità sociale in condizioni di perenne emergenza sanitaria, elegge il risentimento e l’insulto a cifre espressive dell’attuale polarizzazione della doxa. Il risentimento è uno dei modi che ci situa emozionalmente nei confronti dell’altro e che fa pulsare l’io nella costante negoziazione della nostra posizione sociale. Scolasticamente, se già in Dostoevskij il risentimento è causa e contemporaneamente immediata espressione del “raskol”, (la drastica separatezza tra gli uomini che impedendo ogni espressione dei sentimenti paralizza l’agire), nella condizione attuale di frammentazione e di irrisoluzione è indice di limitazione perché attesta lo scacco del desiderio e del bisogno. Anche se vi è chi, come l’antropologo Ubaldo Fadini, si chiede se sia possibile “pensare ad un’idea di risentimento all’altezza delle emozioni e sentimenti che si concretizzano nello spazio antropologico della Rete”, suggerendo una interpretazione del risentimento non come sentimento negativo, ma come spazio psichico capace di tenere insieme memoria ed intelligenza, la deplorevole cifra espressiva dell’attuale polarizzazione conflittuale inclina piuttosto a codici triviali ed escludenti. Il fenomeno del Confirmation Bias (cercare in rete solo conferme alle proprie convinzioni senza porsi la domanda se siano giuste o sbagliate), sommato ad un quadro sociale di feroce incomunicabilità, vede un numero crescente di persone – dalle piazze reali a quelle virtuali - affrontarsi con l’ingiuria alla ricerca di una offesa più adatta ad annientare l’altro, annichilendo la sua rappresentazione della realtà. L’insulto come velenoso respiro del risentimento, dismette gli abiti da lavoro del malcostume e della patologie lessicale per guadagnare una funzione di pirateria espressiva che, pur sequestrando le strategie pro-sociali di intesa, rappresenta l’ultima spiaggia prima dello scontro fisico. Le logiche della società dei consumi, comportando l’inseguimento acquisitivo e l’ostentazione, socializzano l’individuo ad un corrosivo senso di insoddisfazione e di ripiegamento su sé stesso da cui scaturisce la malattia del risentimento e la scappatoia dell’insulto che cifra la nostra indisponibilità a rappresentarci come esseri ragionevoli. Il senso di vergogna per non raggiungere il successo e la notorietà - eletta a stella polare della società dello spettacolo - consentono allo scavo rancoroso di trapassare il debole tessuto sociale, nominando capri espiatori di turno (gli esclusi, gli altri, i reietti, ecc.) e riproponendo una neo-istintualità diffusa contro la quale il processo di civilizzazione aveva cercato di opporre gli argomenti dell’expertise, della specializzazione e del confronto razionale.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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