La guerra tra chi vorrebbe un nuovo lokdown totale e chi invece delle chiusure mirate, ripropone il tema della differente interpretazione dell’emergenza pandemica, di aperturisti contro chiusuristi che, testimoniando come la verità scientifica si accordi raramente con il senso comune, ripropongono l’eterno antagonismo tra istinto e ragione. Sentiamo spesso ripetere che dall’emergenza pandemica se ne esce insieme, ma subito dopo abbiamo contezza dell’imprescindibilità di logiche di bottega che vanificano in modo irridente la coerenza di chi rinuncia al proprio tornaconto immediato per il rispetto delle regole. Siamo dunque il Paese della rimozione, dove gli atteggiamenti difensivi dei cittadini, si sommano alle conseguenze negative della costruzione sociale del dissenso? Se è certamente vero che, nonostante la sfiducia nella politica e la corruzione, in Italia vi siano numerose eccellenze, la scarsa coesione del “sistema Paese” si declina nella capacità di reagire solo a problemi contingenti. Dalla difficoltà di una visione organizzativa strategica deriva un quadro sociale esogeno rispetto alle due categorie weberiane di etica, quella della buona intenzione e quella della “responsabilità” (nel senso di attenzione alle conseguenze derivanti dalle proprie azioni), ed in un Paese a moralità pubblica limitata, quando si dovrà scegliere in condizioni di emergenza, la mancata trasparenza e chiarezza delle informazioni diverrà sinistra misura del rispetto dello Stato per il cittadino. Sono mesi che siamo confrontati con un numero di morti impressionante che motiva una triste rimozione collettiva e che svuota la consapevolezza pubblica, ma invece di perseguire un cambiamento maturativo e responsabile, ricerchiamo piccoli adattamenti temporanei imposti dall’emergenza che stiamo vivendo, incapaci di disegnare le tappe di un nuovo equilibrio che dovrebbe fare da sfondo sociale all’auspicata rinascita del Paese. Tutti abbiamo fatto esperienza della stanchezza e dell’alto prezzo da pagare per mantenere inalterato il senso di auto-efficacia in una situazione di piena emergenza, però il bene comune “salute collettiva” sembra passare sempre in secondo piano. L’interpretazione dello scenario pandemico in termini di guerra contro un nemico sconosciuto che costringe a lottare per la sopravvivenza, è in continuità con i temi istituzionali che hanno identificato la pandemia con un’emergenza sanitaria da raccontare attraverso metafore altamente emozionali. Ma il Covid ha anche gettato sale sulle storiche ferite italiche, soprattutto quando ci siamo accorti che l’emergenza pandemica non cessava e che dovevamo non solo adattarci, ma cambiare in profondità. Cambiare significa ridiscutere le certezze che avevamo prima, l’auto-percezione sociale che cementava le nostre relazioni e promuoveva il nostro riconoscimento. “Nulla sarà come prima” è presto diventata espressione retorica perché per le persone è difficile confrontarsi realmente con la consapevolezza di ciò che accade.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale