La costruzione della mentalità europea nella diversità tra frugali e mediterranei

La costruzione della mentalità europea nella diversità tra frugali e mediterranei

di Rossano Buccioni
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Martedì 28 Luglio 2020, 04:10
Il sociologo della comunicazione Massimiliano Panarari, intervenendo nel dibattito sul Recovery Fund, ha scomodato un colosso del pensiero sociologico come Max Weber per dare nerbo ad un dibattito costruito su insidiosi presupposti. Invocando il principio della riflessività, ha discusso della proverbiale diffidenza dei Paesi frugali nei riguardi dell’Italia, riferendosi a mai sopite polemiche che ponevano la Religione al centro di opposte visioni del mondo. Quasi con un gioco di parole, se in luogo del principio della riflessività usassimo quello logico della “riflessione”, si dovrebbe invece parlare della capacità di un sistema di confrontarsi con stati differenti, cercando di trasformare sé stesso nel modo più favorevole perché “sua è la caratteristica di auto-informarsi”, scriveva la sociologa Elena Esposito. Un sistema qualsiasi (dunque anche un sistema sociale ad alto debito) dovrebbe imparare dai suoi errori invece di cadere nelle trappole di “cultural wars” che impediscono di comprendere ciò che rende difficile la convivenza di culture politico-economiche diverse in seno all’Ue. Il tema qui non è il pregiudizio anti-mediterraneo del nord Europa, ma valutare come frugali e mediterranei - intesi come parti - attivino o meno le logiche del “tutto”, (economia di mercato, governance democratica, democrazia partecipativa), dando per scontato che anche i fondamentali dei paesi del nord Europa mostrano qualche criticità al cospetto delle logiche globali. Lo scorso febbraio il Financial Times pubblicò una lettera dei premier di quattro Paesi del nord Europa in cui si esprimeva una certa idea di sostenibilità del debito pubblico. Il termine “frugal” identificò presto questi Paesi. Che il termine in questione avesse svolto un ruolo decisivo nella storia d’Europa fu proprio Max Weber a metterlo in evidenzia a partire dal rilievo che l’aggettivo “frugale” (nel senso di persona parsimoniosa) assunse dentro un rapporto tra Religione ed economia che darà vita ad una rilevante trasformazione dell’etica del lavoro e del profitto. Le trasformazioni cui ci riferiamo, operate nel nord Europa a partire dal XVII sec. riguarderanno presto tutta l’Europa e gran parte del mondo sviluppato, risultando alla base degli attuali processi di mondializzazione. Se nel 1600 il frugale coniugava vita e lavoro all’interno di quella che il sociologo Pierpaolo Donati definisce “matrice teologica della società”, (con ancora un ovvio orientamento all’al di la), in una società di mercato quella parsimonia, mantenendo un impegnativo connotato etico nell’equilibrio virtuoso dell’essere e dell’avere, appare più come una contro-cultura sul filo del paradosso perchè il consumo, emancipandosi dal bisogno, diventa esplicita visione del mondo, legittimando pienamente il cambio di matrice sociale che da religiosa era diventata economica. Ma come cambiarono i rapporti di forza tra Religione ed economia? Nella società del nord Europa integrata dal credo religioso protestante-calvinista, il dogma della predestinazione individuale fece si che Dio associasse ciascun essere umano - e quindi ciascun fedele - ad un destino eterno inconoscibile prima della morte, sul quale non era dato influire. Una forte preoccupazione circa la propria salvezza o dannazione deve avere accompagnato l’esistenza del tipico fedele calvinista, attivando un pressante bisogno di rassicurazione. Come si ricercava questa confortante anticipazione? Nel successo lavorativo, dice Weber, che introduce il concetto di “ascetismo mondano”, con cui non intende il conformarsi ad un insieme di regole applicabili soltanto alla vita di pochi individui, ma si riferisce ad “homines novi” che nel lavoro realizzano una autentica vocazione terrena. Non appartiene forse anche alla vita di noi mediterranei questo carattere di elezione del lavoro a strumento principale di riconoscimento sociale? Se noi oggi associamo inclusione a lavoro è probabilmente perché i calvinisti nel 1600 cercarono evidenze di salvezza dentro il successo mondano della professione. La rassicurazione ottenuta nel lavoro, se nella società integrata religiosamente poteva diventare un’anticipazione della salvezza, con la successiva integrazione economica del sistema sociale si muterà in rassicurazione burocratica come attestazione della validità del progetto di buon governo della città burgerlich (civile). Fu proprio l’efficacia della “gabbia di ferro” burocratica, a stabilire una netta distanza tra frugali e mediterranei. Weber fa della burocrazia un indice di coerenza del sistema della decisione, ma nei contesti mediterranei, troppo spesso il criterio dell’adeguatezza dei mezzi agli scopi non è chiamato a confermare la razionalità della politica, preferendo percorrere le tortuose strade del familismo e della consorteria bizantina che garantiscono rendite di posizione mettendo a repentaglio l’efficacia della decisione pubblica. La difficile convivenza di culture politiche diverse in seno all’Ue, non solo ci fa identificare con differenze epidermiche in luogo di forti continuità storico-economiche, ma fa passare in secondo piano anche il fatto che nella società di mercato il denaro si emancipa dagli oggetti, con la lontana ricerca del favore divino ormai mutata nelle mode e nel lusso che, come ci ricorda il filosofo Gilles Lipovetsky, “nelle merci crea nette discontinuità con il passato spossessando i consumatori di un vero diritto di controllo”. Questo travolgente dominio dell’economico - mosso da antichi principi che non lo contemplavano affatto - è del resto ben esemplificato dall’Olanda che con il mercato dei diamanti e dei fiori, racchiude con espressioni opposte, ma convergenti, il pieno dominio del mercato sulla massima eterogeneità della vita e della materia. 

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale
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