La dominanza economica e le tragedie dell’avidità

La dominanza economica e le tragedie dell’avidità

di Rossano Buccioni
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Martedì 15 Giugno 2021, 10:30

La presidente dell’associazione nazionale esercenti delle funivie, ha affermato che «fino alla tragedia del Mottarone, gli incidenti potevano avere solo due cause: guasto o errore umano. Nel caso della funivia di Stresa emerge un terzo fattore, cioè la disattivazione volontaria dei sistemi di protezione causata da un’atroce incoscienza dettata dall’avidità». Nell’epoca della piena dominanza economica, l’avidità è una sorta di “amplificazione della deviazione”, con il denaro che riesce a rendere omogeneo tutto ciò che per natura è differente. Il denaro de-sostanzializza il mondo e mentre la proprietà resta legata alla consistenza naturale delle cose, quello può essere suddiviso e moltiplicato a piacere, disegnando enormi sfere di aspettativa calibrate sul desiderio acquisitivo. La stessa crescita di un mercato del denaro determina un’autoreferenza monetaria in base alla quale se il denaro è tenuto fermo, subito perderà valore. Alla luce di queste semplici considerazioni la tragedia di Stresa - avvolta nel velame cinereo dello sdegno collettivo e della riprovazione - appare costretta in una imbarazzante promiscuità con un costante incremento della sovrapposizione tra agire economico ed agire sociale. Allora quella della funivia è stata solo tragedia dell’avidità? Cosa esprime socialmente questa infinita compulsione monetario-acquisitiva? Il filosofo Massimo Cacciari scrisse che “l’avaro vorrebbe che il suo denaro non si solidificasse mai, che restasse liquido, affinchè in tale forma potesse moltiplicarsi. Ma ciò è impossibile. (…) Il denaro deve morire per rinascere”. Questo circulus aeterni motus, espresso dalla infinita movimentazione dei soldi in una geografia sconfinata di merci, spinge al sentirsi là pur restando qui, abolendo ogni stabilità rappresentativa, in balìa delle seduzioni consumistiche del processo di individualizzazione. L’avidità – come la cupidigia e l’avarizia - sono sentimenti che più di altri hanno risentito del forte aumento delle possibilità di scelta materiale assicurate al singolo individuo, mantenendo una stridente alonatura etica presupposta da un sistema sociale integrato moralmente e religiosamente che, nella condizione di secolarizzazione spinta in cui viviamo, smarrisce la propria capacità di orientamento. I Padri della Chiesa, temendo che il denaro potesse evidenziare patologie del legame, condannavano il prestito ad interesse, limitando l’autoreferenza del “creare denaro con il denaro”. Il dispositivo morale interdittivo utilizzato, si basava sul contrasto alla “philargyria” (amore per il denaro), non a caso annoverato tra i peccati capitali, unitamente a cupidigia ed avarizia. Incrementandosi a partire dalla crisi della “Res publica christiana”, la forza di spinta socio-strutturale del denaro ne fece un medium altamente circolante a fronte di una elevatissima capacità di canalizzazione delle strategie di costruzione della realtà.

Per noi è interessante stabilire le modalità con cui il denaro continua ad attraversare l’ambito che lega l’individuo alla società, profittando della sua qualità di ente che sa essere normale ed eccezionale, portatore di responsabilità, ma anche fonte di autonomia. Oggetto che sta forzatamente al posto di qualcos’altro (agendo dall’ordine delle mediazioni regolative dello scambio, come il linguaggio), il denaro sviluppa una superiore capacità di disegnare le architetture dell’intesa, più problematiche in altri quadranti della società dell’opinione. Il filosofo e sociologo tedesco George Simmel, scrisse che “il denaro è una vittoria sulla distanza”, liberandoci dal baratto che fonda la presenza necessitando delle logiche profonde di una comunità linguistica. Questa distanza ha strutturato le moderne dinamiche interumane, assurgendo a criterio di definizione delle persone inserite nelle loro funzioni di status. Gli oggetti sociali come il denaro esistono relativamente al fatto che i gruppi umani assegnano alle diverse tipologie di oggetti una specifica intenzionalità; avremo quindi oggetti rappresentati in base alle visioni di un osservatore oppure oggetti che esistono indipendentemente da quest’ultimo. Così, fiumi, alberi o cellule esistono in un modo non relativo all’osservatore, mentre banche, automobili e facoltà universitarie vivranno in una modalità strettamente legata all’osservatore. Quando l’esistenza di un oggetto non può prescindere da quella di un osservatore, quest’ultimo gli attribuirà determinate funzioni realizzando intese comunicative legittimanti a partire dalla stabilizzazione sociale di un suo specifico utilizzo simbolico. Le funzioni di status esercitate dal denaro emergono a questo livello, producendo ragioni per agire, condizionando i desideri indipendentemente dalle nostre inclinazioni e costruendo inconsciamente la coerenza tra individuo e struttura sociale. Se consentiamo al medium “denaro” di assorbire ciò che in società consistenti era espresso in funzioni di status ispirate alla Religione ed alla morale, potranno emergere dolorose ambivalenze nell’agire. L‘antichista Maurizio Bettini sosteneva come l’espressione “beni culturali” avesse generato il concetto di “giacimento culturale”, metafora assai più pesante della precedente, perché evocante l’espressione giacimenti di gas naturale o di petrolio, evidenziando un’ansiosa adesione linguistica alle evidenze convergenti del mercato e del profitto. Sul fronte delle conseguenze umane di questa condizione sociale, lo psichiatra Vittorino Andreoli denunciò gli effetti catastrofici della dominanza economica, individuando nella “parafrenia monetaria” una condizione in cui si liberano fantasie esagerate sul denaro, dove la persona finisce per convincersi della realtà di situazioni drammaticamente illusorie.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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