Politica e antropologia del denaro dal calcio al mercato dell’energia

Politica e antropologia del denaro dal calcio al mercato dell’energia

di Rossano Buccioni
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Martedì 20 Dicembre 2022, 11:30

Come leggere la scabrosa questione dell’inchiesta in corso sui tentativi di corruzione di alcune personalità politiche del Parlamento Europeo sullo sfondo del periodo festivo che ci apprestiamo a vivere? Dall’inchiesta di Bruxelles emerge una centralità assoluta del denaro, come se ogni personaggio avesse un prezzo e la sua rappresentanza politica fosse riducibile ad esso. Le circostanze ci confrontano con alcuni Paesi arabi impegnato in una grande offensiva mediatica giocata sul piano delle infrastrutture simboliche di soft facility – tra cui i campionati del mondo di calcio – ma certamente destinata a declinarsi nel mondo del mercato mondiale dell’energia (hard facility). Si potrebbe affermare che il senso della pressione corruttiva si esercita su un’antropologia del denaro predisponente, che dopo averlo eletto ad inarrestabile generatore simbolico, presume gli stessi illeciti come affioramenti di un contesto culturale in cui tutti pensano in termini economici, senza lasciare spazio ad azioni ispirate da criteri alternativi alla logica acquisitiva pura. I disinvolti rappresentanti dell’interesse pubblico al Parlamento Europeo incarnano una prodigiosa estensione planetaria delle dinamiche a suo tempo già messe in evidenza da K. Marx che intuì come il mutamento qualitativo derivante dall’aumento quantitativo di un fenomeno, (eterogenesi dei fini) possa – ben al disotto della consapevolezza degli attori sociali – mutare lentamente i mezzi in fini e viceversa. Se un medium prodigiosamente circolante come il denaro diviene condizione universale per determinare la realizzazione di un qualsiasi scopo, questo elemento cesserà di essere un mezzo per diventare un ambitissimo fine in sé, cioè scopo principale – anche se tacito o presupposto – di ogni attività, relazione o dinamica sociale. Talmente ambìto che le persone coinvolte in episodi di corruzione stenteranno a rendersi conto dei reati commessi in quanto impossibilitate ad osservarli da una prospettiva “etica” in competizione con la dominanza economica. Di fronte alla razionalità generale dell’agire economico perdono di valore altre letture della realtà – filosofiche, teologiche, artistiche – nella misura in cui decidono di esprimere la propria interpretazione di ciò che accade al di fuori dei canoni valutativi del pensiero calcolante e della ratio economica che ne esprime la forma più matura. Il punto non riguarda tanto l’inesistenza di tali interpretazioni alternative, ma la loro inconsistenza strutturale che sovente si traduce in una perorazione a favore della propria sopravvivenza. In effetti, la dominanza economica non si limita a performare i “cuori e le menti”, ma costruisce sistematicamente le condizioni che alimentano il proprio monopolio culturale, impedendo dunque a diverse letture del mondo della vita l’esercizio della propria funzione. In altre parole, se tutti noi pensiamo ormai diffusamente in termini economico-quantitativi, che spazio potrà esserci per interpretazioni alternative dell’esistenza e per scelte che umanamente si pongono ai margini dell’agire economico? Questa domanda assume un significato particolare proprio in occasione del Natale che vive del paradossale svuotamento di senso del tempo festivo, grossolanamente colonizzato dalle logiche economicistiche, anzi atteso non tanto per il proprio potenziale epifanico/rigenerativo, ma proprio in quanto attivatore involontario di quelle logiche acquisitive che – anche per poco - dovrebbe mettere tra parentesi.

In tal senso la natura esogena del senso festivo si impone a quello feriale in modo inequivocabilmente destinato allo scacco, a meno che questo dato non venga letto alla luce di un complicato riassorbimento teologico delle relazioni sociali. Se all’agire si sostituisce il fare (U. Galimberti), io divento un attivatore interessato di logiche delle quali non potrò mai decidere il significato intrinseco, essendo costruito socialmente per non predisporre al culmine del mio agire un sistema di significato ed un fine ultimo, dato il mio statuto intrinseco di esecutore materiale e spesso inconsapevole di fini penultimi. Allora che senso ha calendarizzare la grande questione della Redenzione in epoche dove l’umano si riduce a servomeccanismo convergente di logiche storicamente scaturite da processi di emancipazione dell’agire dal valore e di separazione del funzionare dall’esistere? Questo tema riguarda la trasformazione del senso del tempo con la mutazione in tempo ordinario del tempo ritenuto straordinario, quello connaturato ad una lettura salvifica della storia che istituiva una relativa coerenza tra tempi sociale e psichici. La netta separazione tra le due temporalità decide una inconsistenza materiale del tempo festivo che assume una precisa fisionomia all’interno della stessa determinazione dei tempi di vita. Statuita in epoche storiche centrate sulla forte alternanza simbolica tra tempo dello Spirito e tempo dei corpi, la Festa garantiva una chiara prospettiva rigenerativa determinantesi all’interno di un quadro teologico di storia della Salvezza. Perdendo la struttura sociale – e le sue determinazioni temporali – l’orientamento sacrale all’al di là, il periodo festivo subisce l’assedio suadente del mercato e la lenta, ma inesorabile, colonizzazione delle sue stesse logiche costitutive. Se il denaro aumenta quantitativamente, sino a diventare condizione universale per realizzare qualsiasi obiettivo, cesserà di essere un mezzo per diventare il primo tra gli scopi, ridiscutendo in profondità la natura dei beni e dei bisogni umani che la rigenerazione temporale festiva – ritmata dalla Religione sulla diade ordinario/straordinario - non è più capace di tutelare universalmente.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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