Uno degli effetti principali dello scatenarsi del “fattore guerra” consiste nel sentirsi costretti ad occuparci delle conseguenze di uno scellerato conflitto militare sapendo bene che la guerra non è il vero problema del nostro tempo. Il tema vero è la crisi ecologica globale di fronte alla quale la minaccia di sparizione del genere umano per conflitto atomico ormai si aggiunge per gioco probabilistico al rischio di sparizione per la incipiente catastrofe ecologica, permanendo le tiepide politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Nel quadro geopolitico degli anni 2000 la Germania e l’Europa volevano essere delle potenze “erbivore”, cioè concentrate allo sviluppo di un potere economico-finanziario progressivamente aperto ai dettami della società della conoscenza, della civiltà giuridica e della trasformazione in chiave ecologica delle maggiori filiere produttive. Una potenza erbivora si nutre di specifiche visioni dell’uomo e della società, ma ci siamo progressivamente accorti – specialmente dopo l’avvento di alcune figure autocratiche – che continuavano ad esistere anche potenze “carnivore”, che negavano le piattaforme interpretative della globalizzazione nel pieno recupero della guerra, dello sfruttamento ambientale e della negazione dei diritti umani essenziali. Ci siamo anche resi conto che i carnivori non si possono fronteggiare con strategie erbivore, sapendo bene che, dovendo agire la stessa aggressività, si dovrà poi accettare una costruzione della realtà tipica di quei rapporti di forza che – oltre ogni ragionevole dubbio - stanno devastando il pianeta. In passato sono state avanzate delle interessanti connessioni tra riconoscimento dei parametri essenziali di una “ecologia umana” e rispetto delle risorse ambientali, con le culture dello sviluppo sostenibile che proponevano un inedito modello di progresso economico. La messa in opera del cingolo militare si ispira invece ad una realtà che esiste solo nelle costruzioni top/down dei rapporti sociali e degli ovvi pre-requisiti predatori dell’ambiente, presupposta proprio da quei paesi (Russia, Cina, India) che negano la crisi ecologica per le stesse ragioni per le quali rifiutano i criteri-base dell’ecologia umana e della “società aperta”. Il vero dramma che stiamo vivendo risiede nel fatto che il pianeta non può reggere costruzioni della realtà così contrapposte. Non è tanto una questione di “nè/né”, ma un drammatico out/out che in questo momento è reso invisibile da un orrendo spostamento di interesse sul fragore delle armi e sulla sua perimetrazione mediatica centrata sulla paura. Il ritorno della guerra come soluzione dei conflitti cancella un’intera agenda politica (quella della green economy, della società della conoscenza e della civiltà dei diritti), con un’atmosfera da piena guerra fredda che ha portato alla forte militarizzazione del concetto di sicurezza, seconda per importanza solo allo shock socio-culturale che si venne a creare dopo gli attentati dell’11-09-2001.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale