Di recente hanno fatto discutere alcune “derive social” di vip abituati alla totale condivisione in rete con i propri fans di ogni momento della loro vita privata e, soprattutto, di coppia: dalle foto del matrimonio a quelle della sala parto in occasione della nascita dei propri figli, dopo la pubblicazione dell’ecografia o addirittura del test di gravidanza. Nello specifico, ci sono due mamme al centro dell’attenzione: l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni, il cui primogenito esibiva a favor di telecamera le immagini ecografiche della minuscola sorellina in arrivo e l’attrice Maria Monsè che dichiarava come il nasino rifatto della figlia dovesse rappresentare un chiaro messaggio a tutte le ragazze: se hanno un complesso, è loro diritto superarlo. La sociologa Marina D’Amato sosteneva come un’indagine condotta qualche anno fa su un campione di 1.000 genitori italiani, evidenziasse quanto e come i figli esistano in funzione di un progetto genitoriale competitivo di realizzazione del sé. Il senso di inadeguatezza della condizione adulta costruisce e proietta su quella infantile una sorta di incarico relazionale, una socializzazione permanente per interposta persona. Il deficit di responsabilità che si riscontra nei genitori di oggi ha verosimilmente a che fare con il fenomeno dei bambini adultizzati, con molti genitori immaturi che non riescono ad assumere la funzione ed il ruolo necessari per crescere i figli e inducono spesso, sia pure inconsapevolmente, i bambini a diventare precocemente grandi per poterli vivere come dei pari. La bimba col naso rifatto rappresenta una versione del sogno procreatico del “child design”, progetto astratto di bioingegneria emozionale derivante dal sogno di scegliere ogni carattere somatico del nuovo nato, ovviamente in base ai modelli di bellezza e di efficacia vincenti in un certo sistema sociale. Il lifting costituirebbe un risarcimento sociale per un deficit naturale che negava alla figlia della Monsè la piena adeguatezza al modello di avvenenza e di successo che propongono le immagini mediatiche del femminile. Come sostiene la filosofa Luisa Muraro, «l’esperienza materna è speciale perché è vissuta in due, con un processo vitale in corso che ha le caratteristiche di una autentica creazione». Nella nostra società invece, la madre si trova spesso nella condizione di trascurare il «portare-venire alla luce», dovendo enfatizzare l’adeguamento del figlio all’esterno in una sorta di esposizione precoce ai dettami comunicazionali. In tal modo l’attuale rapporto genitori-figli appare fortemente influenzato dall’ansia prestazionale dell’io adulto che stravolge le dinamiche della socializzazione primaria all’interno di un «progetto capolavoro». In eventi come quelli che commentiamo l’attrito che si venne a determinare tra le cosiddette scienze della vita ed il simbolico materno, ritorna sinistramente sullo sfondo distopico di una «vita senza esseri umani» (Diotima) caratterizzata dalla progressiva trasformazione del corpo in strumento di comunicazione, sistema di segni che, cessando di essere luogo dell’umano, si muta in dispositivo avanzato di adeguamento alle contingenze sociali.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale