Indiscusse protagoniste delle cronache quotidiane, le gang giovanili costituiscono un rompicapo sociologico, incarnando una sorta di convergenza emergente di fenomeni sociali assai diversi. Alcuni osservatori, rigettando la prospettiva scoraggiante del mutamento antropologico, definiscono “di tendenza” il tema della violenza e del disagio giovanile, ammettendo indirettamente l’impossibilità di perimetrarne i nuovi dinamismi alla base di un inedito rapporto individuo/società. Se, sociologicamente, si possono rintracciare per grandi linee dei tratti comuni alle numerose gang giovanili che dimorano in particolare nei quartieri periferici, emarginati o segregati delle città, le loro caratteristiche salienti variano a seconda delle epoche storiche e dei contesti sociali di riferimento. Alle tradizionali connotazioni del problema se ne aggiungono altre di carattere più generale, inerenti la matrice culturale dei processi di esclusione o di mancata assimilazione, vale a dire della violenza come riflesso condizionato delle crescenti difficoltà inclusive a fronte di precise richieste conformizzanti divenute insostenibili per un sistema di personalità in formazione che ricerca conferme all’interno di modelli di efficienza viralizzati dall’ambiente mediatico. La novità dirompente del fenomeno si esprime nell’impossibilità di utilizzare un modello di gang giovanile valido per i molteplici casi osservati, con i tentativi di schematizzazione che cercano di ispirarsi ad un modello deterministico di ratifica sociale della devianza, nel vano tentativo di prevederne le derive. Il fenomeno delle gang giovanili, ponendosi storicamente a valle dei processi di socializzazione, sembra guadagnare centralità in una dimensione sociale emergente, interpretabile – come si diceva – come “cambiamento antropologico”, dentro la comprensione della condizione umana nei termini di una crescente smaterializzazione della realtà. Si tratta di una inedita determinazione dell’umano al limite tra de-realizzazione ed interiorizzazione di forme estreme di contingenza, che elegge la dis-identità a criterio di riferimento, oltre ogni schematismo normale/patologico o adeguamento/devianza, calibrato sulla instabile permanenza di modelli di socializzazione tardivamente orientati ad un Telic system. Se in questo potente processo trasformativo volessimo rintracciare un legame con forme precedenti di devianza, potremmo ancora identificarla nelle forme di disuguaglianza relative allo status socio-economico, interpretabili come fomite di una subalternità materiale che crea giovani “invisibili”, senza alcuna prospettiva di futuro nè condivisione delle norme etiche accettate dai più. Ma è soprattutto la “diseguaglianza simbolica” a determinare i quadri più interessanti da cui osservare sia le trasformazioni delle costellazioni agire/esperire investite dalla ridefinizione di rapporti sociali improntati alla velocizzazione delle relazioni, sia l’indubbia reversibilità/inconsistenza del rapporto di informazione che vi si struttura.
* Sociologo della devianza e del mutamento sociale