Il poeta premio Nobel Eugenio Montale affermò che «dallo stadio calcistico il tifoso retrocede ad altro stadio: quello della sua stessa infanzia», attraversando tragici smarrimenti ed altrettanto prodigiosi recuperi emozionali. Nelle ultime settimane i telegiornali hanno sempre aperto le loro edizioni con l’emergenza sanitaria, ponendo in second’ordine anche l’elezione alla Casa Bianca del senatore Joe Biden. L’unica eccezione si è avuta con la scomparsa di Diego Armando Maradona. La sua tragica uscita di scena, è certamente leggibile come metafora della fragilità delle tigri di carta del divismo sportivo, capaci di incarnare mitologie collettive pagando spesso a caro prezzo il non aver vissuto propriamente per sé, ma quasi esclusivamente in funzione dell’offerta di strategie di identificazione con l’uomo di successo a beneficio di folle estasiate di fans. Nel mondo secolarizzato, il campione sportivo diventa un elemento sacrale moderno, eroe laico di un sentimento propriamente religioso, in epoche lontane ispirato da testimoni della virtù e della Fede, alla ricerca di quell’Exemplum destinato a legittimare tra gli uomini la concezione gerarchica del cosmo inscritta nel contesto sociale. Nella società attuale, lo sport alimenta forti proiezioni oniriche sul campione – incaricato dai suoi ammiratori di vincere anche per loro - e non a caso il “Divo” (lat. divus, divino) ed il campione (in antico l’atleta di Dio), sono categorie connaturate alla matrice teologica della società che oggi esprimono l’esigenza di ri-specificarsi in nuove dimensioni legittimanti. La morte di un campione priva l’inconscio collettivo della sua possibilità di incarnarsi nella concretezza dell’esistenza, originando forme di cordoglio che, sommandosi al fanatismo, risalgono la matrice popolaresca del gioco all’interno di un contagiante struggimento idolatrico. Non dimentichiamo che lo sport offre da sempre forti meccanismi di appropriazione del fenomeno religioso. Desiderosi di farci parte attiva di un rapporto non astratto col sacro, grazie allo sport costruiamo socialmente esperienze al limite del magico. Inoltre, la sacralizzazione sportiva assume concrete fisionomie con la morte precoce del campione che contribuisce ad eternizzarne la grandezza, inserendola in un contesto votivo che si impone soprattutto nei luoghi che hanno consacrato le sue epopee agonistiche. Lo storico Daniele Marchesini, in un volume intitolato “Eroi dello sport”, definisce «statuolatria» e «stadiolatria» la rilevanza assunta nei contesti urbani dal «monumentale sportivo”, elemento neo-sacrale in un contesto altamente secolare. La mesta uscita di scena del campione argentino, interpretata in modo anche truce dai media, ha ricevuto nobili attenzioni in chiave analitica, specialmente quando orientate allo studio degli effetti sociali del calcio. Il filosofo Massimo Cacciari ha chiamato in causa il maledettismo calcistico di Maradona che, come celeberrimi casi letterari, rappresenta il topos del genio che si autodistrugge.
*Sociologo della devianza e del mutamento sociale