La sostenibilità che può anche evitare pandemie

La sostenibilità che può anche evitare pandemie

di Roberto Danovaro
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Venerdì 20 Marzo 2020, 10:45
Nel 2012, David Quamman, scrittore e giornalista scientifico, autore del libro “Spillover” (che potrebbe tradursi nel termine “tracimazione o fuoriuscita”) disse: “Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie”. Si riferiva al fenomeno emergente delle “Zoonosi”, ovvero al trasferimento di malattie dagli animali all’uomo. Nel 2015, Bill Gates in un seminario pubblico, affermava che il principale rischio per il futuro dell’umanità non è costituito dalle bombe atomiche ma dalle epidemie globali. Quamman e Gates non sono visionari o preveggenti, si sono informati. Il 75% delle malattie dell’Uomo, che siano batteri, virus, parassiti o protozoi, sono dovute a trasmissione dagli animali, e il 60% di queste malattie viene da animali selvatici. Il report del WWF Italia “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”, appena uscito, riporta una rassegna dettagliata di questi fenomeni. Negli ultimi decenni, in media, si è diffusa una epidemia ogni due anni. Nel 2002, in Cina, è apparsa la SARS (la Sindrome Respiratoria Acuta Grave) è partita da pipistrelli ed è passata attraverso un piccolo mammifero carnivoro (assomiglia a una donnola) detto civetta delle palme. Nel 2003 l’influenza aviaria detta H5N1 è partita in Cina da uccelli selvatici che hanno infettato uccelli allevati. Nel 2009, l’influenza suina (H1N1), originata negli Stati Uniti e in Messico. Nel 2012 la MERS (Sindrome Respiratoria Medio Orientale) è partita da Dromedari in Arabia saudita. Nel 2013, in Cina, l’influenza aviaria (H7N9) è partita da altri uccelli selvatici. Nel 2014, in Africa occidentale, nasce l’Ebola partendo sempre da pipistrelli. Oggi con la pandemia del Coronavirus, il COVID-19 affrontiamo una malattia virale trasmessa ancora una volta da un piccolo pipistrello selvatico che viene venduto ancora vivo nei mercati asiatici (come Wuhan), e che, tramite sangue o liquidi, si è traferita all’uomo. Sono innumerevoli i casi di patologie trasmessi all’uomo da animali selvatici. Queste zoonosi emergenti ci preoccupano particolarmente poiché compaiono a un ritmo che non ha precedenti nella storia umana. La ragione dell’esplosione di queste zoonosi sembra essere l’alterazione degli ecosistemi naturali. Secondo gli studiosi, questo avviene attraverso alcuni semplici meccanismi concatenati: 1) l’abbattimento degli ecosistemi naturali porta ad un aumento dei luoghi dove si concentrano i vettori delle malattie; 2) le specie selvatiche, indebolite dalle condizioni ambientali ostili o inquinate, si ammalano più facilmente, creando serbatoi di patogeni al loro interno; 3) le specie selvatiche vendute nei mercati sono tenute a stretto contatto tra loro, aumentando la diffusione di malattie al loro interno; 4) il contatto con altre specie domestiche o selvatiche, come quelle vendute nei mercati, aumenta il trasferimento di malattie tra specie diverse, e infine 5) le specie animali infette, una volta che sono a stretto contatto con l’uomo gli trasmettono la patologia. La distruzione di habitat, l’inquinamento e la perdita di biodiversità creano quindi condizioni favorevoli alla nascita e alla diffusione di queste malattie emergenti, e il commercio di specie selvatiche aumenta la probabilità di trasmissione di queste malattie dagli animali all’uomo. Una volta superata questa emergenza, dovremo rivedere la storia di questa pandemia in un contesto più ampio. Non si tratta della prima pandemia e non sarà l’ultima. Ne potranno seguire anche di peggiori. Non possiamo pensare di risolvere tutto solo trovando un vaccino o una cura (peraltro indispensabili) al COVID19, dobbiamo anche investire nella prevenzione delle future pandemie. Le ricerche svolte fino ad oggi suggeriscono che il miglior modo per prevenirle è quello di impedire il commercio di specie selvatiche, di proteggere gli ecosistemi e la biodiversità, di risanare gli ambienti inquinati e di restaurare gli habitat danneggiati. I ricercatori parlano di “One Health”, ovvero la salute dell’uomo e quella della natura sono strettamente connesse, ovvero non esiste futuro per la salute dell’uomo se non all’interno di un Pianeta a sua volta sano.

*Docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione zoologica-Istituto nazionale di biologia, ecologia e biotecnologie marine
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